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sabato 2 febbraio 2013

IL TRADIMENTO NELLA VITA DI COPPIA. Quando il "terzo" non è un partner sessuale


Con l’innamoramento due individui si scelgono in modo elettivo preferendosi ad ogni altro. Il legame cui danno vita rappresenta una congiunzione unica frutto dell’incastro di specifici tratti di personalità, storie generazionali,  desideri, bisogni e paure. Ciascuno è infatti portatore di una propria dotazione che viene fatta convergere nell’unità di coppia. Questo peculiare incastro non è tuttavia da intendere come esito della sola somma di risorse e deficit  che caratterizzano il bagaglio di ognuno. La coppia è un “noi”, un luogo terzo di cui ognuno dei partner deve prendersi cura, difenderlo e proteggerlo attraverso azioni concrete.
Può essere utile soffermarsi brevemente sull’etimo del termine relazione, esso si presta ad un duplice ordine di significazione:  rimanda in primo luogo al latino re-ligo che significa “legame tra” e indica che tra due o più soggetti vi è in corso un’interazione, una connessione, uno scambio. L’altro rimando è il re-fero che vuol dire “riferimento a” e mette in luce, di contro, la comune appartenenza. Rappresenta, in altri termini, il prodotto  cumulativo della storia delle varie interazioni vissute. L’interazione, è un evento circoscritto che accade qui e ora e si dispiega nel presente, ne sono una esemplificazione uno sguardo reciproco, una conversazione telefonica. Sono queste interazioni che riempiono la relazione, la nutrono ma è quest’ultima che permette di assegnare alle singole interazioni un’unità di senso. In ambito familiare questa connessione diventa storia generazionale. I legami, le interazioni contribuiscono a creare una memoria, consentono la costruzione di una storia, di un nuovo intreccio che si riannoda ad altri legami e lo rendono significativo.
La nuova coppia dunque non nasce nel vuoto, la sua esistenza non rappresenta un inizio in assoluto ma è un punto di convergenza tra due storie familiari, un nuovo intreccio all’interno in una trama generazionale. All’interno della storia relazionale passata, la neo coppia dovrà tuttavia trovare una terza via per costruire una sua  propria originale identità. Detto altrimenti, dovrà procedere alla stesura di un nuovo capitolo della storia familiare e per poterlo fare  in termini creativi, occorre che abbia alle spalle una sana qualità di scambio intergenerazionale.
La forte connessione relazionale  che le nuove generazioni sperimentano con i propri genitori – impensabile all’epoca di questi ultimi – se da un lato offre l’occasione di una più intima vicinanza affettiva-emotiva reciproca, dall’altro la partecipazione-protezione e coinvolgimento del genitore nella vita del figlio giovane adulto induce ad una vischiosità e dipendenza reciproca che congela le sue spinte all’autonomia e all’indipendenza bloccandolo entro schemi rigidi di protezione e di cura infantilizzanti che si rivela ancor più tossico laddove il figlio/a abbia già costituito una sua propria famiglia. La neo coppia, esposta al rischio di invischiamento è dunque chiamata a realizzare una revisione del sistema di lealtà riguardante il partner e le proprie famiglie d’origine. La lealtà nei confronti del partner deve assumere aspetti di priorità ed esclusività, di converso quella con le famiglie d’origine va delimitata. Si tratta di un vero e proprio tradimento della vita di coppia quello in cui il terzo che vi si inserisce non è un partner sessuale ma un avversario/rivale  più difficile da affrontare e combattere: “sua mamma e/o suo papà”. La separazione dalla propria famiglia di origine si configura come un passaggio cruciale fondamentale che entrambi i membri della coppia devono legittimarsi a compiere pena l’inevitabile sensazione di trascuratezza da parte di chi, sentendosi collocato dal proprio partner al secondo posto rispetto ad uno o entrambi i suoceri, finisce per occupare stabilmente quella posizione di ripiego, diventando una sorta di surrogato. Paradossalmente può dunque accadere che sia il partner a sentirsi “di troppo “nella coppia genitore-figlio! Di questo passaggio critico che ogni coppia è inevitabilmente tenuta a compiere per garantire il proprio benessere, se ne parla anche in un versetto della Genesi (2,24) in cui si legge Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla donna e i due saranno una carne sola”. Il senso di queste parole è che il figlio una volta diventato adulto, se intende diventare una coppia, cioè diventare “uno” con la sua partner, deve lasciare il padre e la madre, separarsene, non solo fisicamente ma anche in termini psichici. Il compimento di questo passo è di difficile realizzazione ovvero non avviene in maniera automatica con l’uscita dalla casa genitoriale. Spesso è possibile osservare dei distacchi che in realtà sono solo apparenti: pur essendosi allontanati fisicamente dalla casa paterna i figli/neo sposi  non  riescono a considerare, quella col partner, la relazione privilegiata, quella su cui investire di più. Psicologicamente restano profondamente vincolati all’uno o all’altro dei propri genitori e ancorati  nella primaria condizione di figli.
La relazione con i genitori è asimmetrica, il figlio si trova nella condizione di ricevere cure più che darle. La relazione col coniuge, di contro è caratterizzata dall’equità nel darle e riceverle, è paritaria, prevede un rapporto simmetrico ed è per questo più impegnativa.  Chi è stato molto accudito e amato, fatica ad abbandonare questo tipo di legame privilegiato e gratificante col genitore e lo continua a ricercare anche una volta sposato. Esiste tuttavia l’evenienza opposta, quella in cui la fatica a lasciare il padre o la madre, dunque a svincolarsene trova ragione in un sentimento di trascuratezza affettiva esperita da parte di uno di loro, o di entrambi. Detto altrimenti, il distacco non è realizzabile se si sente di non aver ricevuto abbastanza in termini affettivi, se  – usando  una metafora – si è usciti di casa con le “valigie troppo vuote”. In questo caso accade che il figlio/a si ostini nell’inutile inseguimento del genitore da cui si sente di dover essere risarcito/a ottenendo tuttavia come effetto che il partner se ne senta tradito perché posto in secondo piano. Non si può maturare come coppia se non si matura la separazione dalle famiglie d’origine. Il coinvolgimento con queste ultime deve potersi configurare come un’intimità/sostegno a distanza. Il sostegno a distanza risulta poi particolarmente importante in occasione della nascita dei figli: sostenere nel ruolo di genitori i propri figli, partecipare alla vita dei nipoti senza assumere il ruolo di genitori vicari ma assumendo la nuova identità di nonni consente di evitare il rischio di incorrere in uno dei due estremi dato dall’invadenza e dal disinteresse. Solo spostandosi indietro di una posizione i nonni possono permettere ai loro figli di diventare le autorità parentali centrali, ma anche questi devono potersi autorizzare a compiere questo decisivo passo in avanti, assegnando alla relazione col partner un ruolo privilegiato, regolando la distanza con le famiglie d’origine, tracciando nuovi confini con esse. In conclusione, ognuno è impegnato a compiere un salto in avanti e indietro lungo il ciclo di vita familiare, l’accettazione quindi della transitorietà del proprio ruolo si configura come segnale forte in grado di annunciare un avvenuto passaggio di consegne tra generazioni familiari. I coniugi devono dunque assumersi in pieno la responsabilità del compito di avviare e portare avanti e ancora riattivare, quando necessario, questi processi di svincolamento per il benessere della propria relazione.
Dott.ssa Moira Melis

Bibliografia
Cirillo, S., I molteplici tradimenti nella vita di coppia, disponibile on line presso http.// www.scuolamaraselvini.it
Scabini,E., Cigoli, V. (2000), Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, Milano, Cortina
Scabini, E., Rossi G.,(2000) Dono e perdono nelle relazioni familiari e sociali, Milano, Vita e Pensiero
Scabini, E.,(1995) Psicologia sociale della famiglia, Torino, Bollati Boringhieri, pp.119-138    

 

 

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