Un blog di psicologhe, di colleghe in continua formazione, tutte con esperienze professionali diverse unite dalla passione per lo stesso lavoro.



Con questo blog vorremmo informare e diffondere contenuti di carattere psicologico che possano essere spunto di confronto e condivisione di esperienze e opinioni, pertanto siete tutti invitati ad offrire il vostro prezioso contributo attraverso commenti e suggerimenti.



Chi voglia contattarci per richiedere una consulenza potrà farlo privatamente, le richieste pervenute sul blog non troveranno risposta e verranno eliminate.



TI PIACCIONO I NOSTRI POST? CLICCA SULLA VOCE "INTERESSANTE" ALLA FINE DI OGNI ARTICOLO!



mercoledì 26 febbraio 2014

DARE PAROLA AL DOLORE


 "Date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsiWilliam Shakespeare

Ci sono forme malsane damore che lentamente finiscono per corrodere cuore e anima di chi ne è vittima spesso inconsapevole. Lingenua innocenza infantile che dapprima si affida, cede il posto al doloroso e solitario stato di dubbio di essere stati depredati. Quando i frammentati ricordi di esperienze drammatiche cominciano a emergere, la coscienza tenta di difendersene provando a negare la veridicità di quelle immagini, flashback o sensazioni così terribilmente vivide. Il dubbio diventa quel temporaneo limbo in cui la mente si rifugia senza tuttavia trovare pace. Il sospetto che quei vaghi ricordi timidamente affacciati alla coscienza celino qualcos’altro di più penoso, spaventa e disorienta. Autorizzarsi a riconoscere come espressione di violenza e non di affetto quei gesti che invadono l’intimità profanandola, significa essere disposti ad assegnare valenza reale al danno subìto e fare i conti con esso, affrontandolo senza scapparne negandolo. Spesso, la presa  di coscienza di essere stati vittime di abuso non è sufficiente per indurre alla condivisione dell’angoscia che attanaglia e pervade chi lo ha subito. Il senso di colpa, la vergogna,  possono infatti inibire lesternazione dellindicibile segreto.

Con le parole  di Judith Herman, professoressa associata di Psichiatria alla Facoltà di Medicina dell'Università di Harvard , la quale si occupa di vittime di violenza:Le atrocità rifiutano di farsi seppellire. Tanto è forte il desiderio di negarle quanto lo è la convinzione che negarle non ci aiuterà. Le storie popolari sono piene di fantasmi che rifiutano di restare sepolti nella tomba fintanto che la loro avventura umana non sia stata raccontata.

Nel pluripremiato cortometraggio, scritto e diretto da Paolo Genovese e Luca Miniero nel 1999 : Piccole cose di valore non quantificabile” (di cui sotto), la protagonista riesce a dar voce, sebbene “utilizzando un linguaggio sibillino”, al suo grande dolore e denunciare   il furto interiore  di tutti i suoi sogni.  Il brigadiere che, in una calda notte d’estate romana,  raccoglie la deposizione  di “Boitani Francesca”, benché non manchi di cortesia e attenzione verso le dichiarazioni di quest’ultima, sembra apparentemente tradurle in dati rigorosamente oggettivabili e quantificabili.  Ligio al dovere, ascolta e redige il verbale, battendo i tasti della macchina da scrivere,  il cui suono rompe il denso silenzio tra l’alternanza dei loro turni di parola.  Il brigadiere non  sembra assegnare valore alla comunicazione non verbale di Francesca, al nervosismo espresso dalle sue movenze, alla sua gestualità e a tutto ciò che vada al di là delle parole e del racconto della donna stessa. L’umorismo, che colora la prima parte della pellicola, rende tragicomico e vagamente surreale ciò che accade nell’ufficio del commissariato. Ciò che  appare comico  è il ricorso,  da parte di entrambi i personaggi, ad un differente registro linguistico per riferirsi ad uno stesso oggetto: la ragazza adotta un linguaggio figurato, metaforico, emotivo, quasi poetico, il brigadiere, uno che gli si oppone in quanto spogliato all’essenziale, un linguaggio letterale, concreto, rigorosamente asciutto, tecnico, univocamente interpretabile. Questi due differenti piani comunicativi non  paiono agevolare la piena comprensione, da parte del brigadiere,  del vero oggetto di denuncia che non trova espressione se non in quell’unico modo velato che solo sottende l’indicibile, ovvero ciò che non trova la forza per essere apertamente dichiarato. Ma l’incomprensione del brigadiere è solo apparente. Egli si mostra infatti accogliente ed empatico con la donna; nessun dubbio pare mai attraversalo rispetto alla veridicità dei contenuti esposti, né mai traccia di biasimo  è possibile cogliere in lui neanche quando le domanda come mai  non abbia sporto denuncia prima. Anche nell’invito ad esprimere “con calma” ciò che le è accaduto, si percepisce una sensibile disposizione a prendesi cura di quella donna ferita sedutagli davanti. Dopo un ultimo tentativo fallito di pervenire ad una maggiore chiarezza circa la dinamica dei gravi fatti di cui è stata vittima, alla quale la donna risponde: “cerchi di capirmi, io non posso dirle come sono andate le cose …”, il brigadiere si arrende. L’evidente e invalicabile  limite oltre il quale le è faticoso spingersi lo induce a scegliere di non sottoporla ad un’ulteriore violenza. L’uomo infatti posiziona un altro foglio nella macchina da scrivere e battendo velocemente i suoi  tasti si rivolge alla protagonista con queste parole: “adesso rilegga la sua deposizione e metta una firma in calce, legga attentamente, sa una volta firmato, il verbale è come se l’avesse scritto lei stessa … ”.

Il colpo di scena finale è evidentemente  inaspettato, coglie impreparati noi spettatori lasciandoci basiti, quasi avessimo ricevuto  una secchiata d’acqua sul viso; ci commuove per l’acuto spirito di osservazione alla comunicazione non verbale  che il brigadiere, solo nell’atto finale, mostra di possedere. Tutte le informazioni, come quel trasalimento che ha indotto la donna a richiedere un bicchiere d’acqua erano state abilmente e sorprendentemente colte dal brigadiere. L’effetto sorpresa, incanta noi e la stessa protagonista. Solo in quel momento si riesce a cogliere a pieno lo spessore del corto e la competenza e delicatezza nell’accogliere e intuire il lirismo sotteso di quelle  piccole cose di valore non quantificabile” che il canale verbale esplicitamente non esprime. Francesca supera le barriere della vergogna, rompe il silenzio e denuncia ogni forma di maltrattamento subìto per 10 anni, liberandosi di quel grosso peso.
 
…Ma denunciare non basta.  Cercare un  risarcimento nel sistema giudiziario   per le atrocità subite è una strada che la vittima può scegliere di  percorrere ma da sola non conduce alla guarigione dal trauma vissuto. La strada verso la guarigione richiede un coraggioso investimento in un trattamento psicoterapeutico individuale e di gruppo.  
Riporto una bellissima frase di Judith L. Herman a conclusione di questo articolo: “Sebbene il paziente  non sia responsabile per le ingiurie subite, egli è tuttavia responsabile della propria guarigione […] L’unico modo in cui si può prendere il completo controllo della propria guarigione è quello di assumersene la responsabilità e l’unico modo in cui si possono scoprire le proprie forze non distrutte è quello di usarle pienamente.
Dott.ssa Moira Melis
Bibliografia
Judith Lewis Herman, Guarire dal trauma, Edizioni Scientifiche Ma.Gi,  Roma, 2005
 

domenica 9 febbraio 2014

IL MATRIMONIO CHE VORREI: un film che parla di coppia e terapia di coppia.


IL MATRIMONIO CHE VORREI
Un film che parla di coppia e terapia di coppia.

Suggerisco la visione di questo film per avere un'idea delle motivazioni che possono portare la coppia, o un membro della stessa a spingere l'altro, ad un percorso di terapia di coppia. La settimana intensiva proposta nel film è lontana dalle nostre modalità di gestione del percorso che è circa di un incontro ogni 3- 4 settimane, ma offre alcuni spunti di riflessione e di conoscenza della modalità. 


Kay e Arnold sono sposati da più di trent’anni. Le loro abitudini di vita sono ben radicate, ma a dirla tutta soddisfano più lui che lei. Ora che i figli sono fuori di casa, Kay si sente più sola di prima, si scopre infelice e decide di prendere in mano la situazione. Venuta a sapere della settimana intensiva di terapia di coppia che il rinomato dottor Feld tiene ogni anno nel Maine, trascina là lo scettico Arnold, in cerca della miccia che possa riaccendere tra loro la scintilla che si è spenta con gli anni (o che potrebbe anche non esserci mai stata).



Lo avete visto? cosa ne pensate?

Avete domande sulla terapia di coppia che propone una psicologa sistemica?


Dott.ssa Laura Tresoldi

giovedì 6 febbraio 2014