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lunedì 29 luglio 2013

Il dramma delle spose bambine: la storia di Nada


Da qualche giorno circola su YouTube il video testimonianza di Nada al-Ahdal, una bambina di 11 anni – che vive a Sana'a, la capitale dello Yemen – che con grande coraggio è riuscita a sottrarsi, fuggendo, all’ingiusta imposizione dei genitori di farle contrarre matrimonio con un ricco yemenita al quale era stata venduta, e a denunciarli. Una storia, quella di Nada che lascia sperare in un possibile lieto fine anche per tante altre sue coetanee costrette a matrimoni combinati con uomini di 40, 50 ma anche di 70 anni più grandi di loro. Dire di no e opporsi ad un tragico destino che lede i diritti dei bambini impedendo loro di crescere serenamente, giocare e dedicarsi alla propria istruzione è possibile. Nada non ha rinunciato a credere che poteva salvarsi, non si è arresa ha lottato per difendere il suo desiderio di libertà e potendo contare sull’affetto e il sostegno di una figura di riferimento importante quale lo  zio Abdel – al quale era stata affidata in tenera età – ce l’ha fatta. La generosa decisione dello zio di accogliere Nada presso la propria famiglia, prendersi cura della sua educazione e istruzione, ha permesso probabilmente alla bambina di sentirsi degna di valore, meritevole dell’affetto che le dimostravano. Tale contesto di crescita ha probabilmente saputo promuovere in lei l’acquisizione di quei comportamenti resilienti e di auto protezione che l’hanno aiutata a salvarsi: Nada si è autorizzata a ribellarsi a quel drammatico destino, cui i genitori, fattisi nuovamente vivi al compimento dei suoi 10 anni volevano costringerla, perché sapeva di non essere sola in questa sua battaglia. Consapevole del suo diritto a vivere con spensieratezza la sua età e risoluta nel non rinunciarvi, esprime con grande enfasi, nel video di denuncia, il suo pensiero su questa deplorevole pratica che disumanizza le bambine, privandole della vitale giocosità tipica della fase infantile e adolescenziale. Dichiara a gran voce che preferirebbe morire piuttosto che sposarsi così precocemente ed essere condannata a rinunciare ai suoi sogni. Con le sue parole: "Voglio realizzare i miei sogni. Mia zia è stata costretta a sposarsi a 13 anni e quando non ce l'ha fatta più, a 14 anni, si è cosparsa di benzina e si è data fuoco. Io voglio andare a scuola, avere una vita. Non voglio saperne nulla di un matrimonio ora. Voglio dire a tutti i genitori: 'Non uccidete i nostri sogni'. Se mi fossi sposata non avrei avuto nessuna vita, nessuna istruzione. Possibile che non hanno alcuna compassione? Cosa abbiamo fatto noi bambini per meritarci questo? Che fine ha fatto l'innocenza dell'infanzia?Preferirei morire piuttosto che sposarmi. Io sono riuscita a risolvere il mio problema. Ma tante bambine non ce la fanno e potrebbero morire o suicidarsi. Alcune bambine si sono gettate in mare e sono morte. Questo non è normale. I miei genitori hanno minacciato di uccidermi se fossi tornata da mio zio. Questo è criminale. Una cosa voglio dire alla mia famiglia: 'Credetemi, con voi ho chiuso. Avete distrutto i miei sogni'" In merito a questa diffusa pratica, così si esprime Razeqa Negami, un’attivista per i diritti umani: “Molta gente non sa che i matrimoni precoci causano alle ragazze seri rischi di salute e psicologici”. Anche  Malalai Nazery, che si occupa di salute e maternità presso UN Children’s Fund (Unicef) a Kabul ha dichiarato che “per una bambina, il matrimonio può essere un percorso anormale e rischioso in quanto finisce per addossarsi tutti i carichi e le responsabilità di un adulto.” Le stime più recenti dell'Unicef indicano che, esclusa la Cina, 70 milioni di donne tra i 20 e i 24 anni - circa una su tre - si sono sposate prima dei 18 anni: di queste, 23 milioni hanno contratto matrimonio addirittura prima di aver compiuto 15 anni. Al matrimonio spesso segue una gravidanza precoce che comporta gravi rischi per la salute delle giovani madri oltre che del nascituro: alla gravidanza e al parto sono legati circa 50 mila decessi ogni anno tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Le ragazze che partoriscono tra i 10 e i 14 anni hanno invece una probabilità di morire durante il parto cinque volte superiore rispetto a quelle tra i 20 e i 24 anniIn India, uno dei Paesi al mondo con il maggior numero di ragazze sposate prima dei 18 anni, il tasso di matrimoni precoci è diminuito a livello federale e in quasi tutti gli Stati: dal 54% del 1992-1993 si è scesi al 43% del 2007-2008, anche se il ritmo del calo è ancora molto lento. Programmi di prevenzione dei matrimoni precoci sono stati portati avanti anche dall’Unicef da tempo impegnata nel  contrastare questo fenomeno attraverso strategie mirate alla sensibilizzazione delle comunità locali e alla promozione di un sempre maggiore accesso all’istruzione come strategia mirata alla presa di coscienza dei diritti umani fondamentali. Anju Malhotra, responsabile della sezione Genere e diritti dell'Unicef si augura che grazie all’istruzione “le ragazze possano rivendicare i propri diritti e realizzare il loro pieno potenziale.” Sebbene nel 2006 sia stato approvato il Child Marriage Prohibition Act , una legge entrata in vigore nel novembre del 2007, favorita anche dall’Unicef, che punisce con la reclusione chiunque assista o collabori alla celebrazione di matrimoni infantili e permette l'annullamento di un matrimonio avvenuto in età illegale se richiesto dal minore stesso, la situazione non pare essere cambiata. Secondo le Nazioni unite da qui al 2020 si registreranno all’anno circa 14 milioni di spose bambine. Nada ha lottato con tenacia e determinazione per riconquistare la sua libertà e i suoi diritti, animata da una spinta protettiva di sé e vitale. La minaccia di morte rivoltale dalla madre per costringerla ad accettare il matrimonio, qualora si fosse realizzata non sarebbe stato  per lei così terrificante quanto  l’alternativa di assecondarla nella  sua decisione mortifera che avrebbe comportato  l’autodistruzione, tacitamente condivisa, della propria anima.  
Dott.ssa Moira Melis
 

mercoledì 24 luglio 2013

Adulti e bambini di fronte al lutto: l'importanza di dire e di come raccontare

Accettare la morte è un apprendimento importante per tutti i bambini, sono gli adulti che spesso vacillano e temono che i figli restino traumatizzati, depressi o sfiduciati da un evento che oltre a renderci consapevoli della mortalità dell’essere umano, ci fa capire che la morte non ferma la vita.
Il lutto che ne segue è il tempo in cui trovare una nuova forma di relazione con chi non c’è più. Così scrivono Pellai e Tamborini (2011): “Il lutto nei bambini può essere pensato come una terra smossa dal terremoto, sconvolta nella forma ma pronta ad accogliere e far germogliare nuovi semi, … . Pensare al lutto come a un periodo che, oltre a molto dolore, può recare con sé anche tracce di possibili speranze è il primo difficile passo per chi vuole aiutare un bambino a ripartire.”
Si sa che la famiglia costituisce una grande sicurezza, un punto fermo cui riferirsi quando si presenta un pericolo o una difficoltà. Nel momento in cui uno dei membri è in pericolo di vita o muore, la sicurezza subisce una forte scossa che mina l’equilibrio dell’intero nucleo. La famiglia si trova di fronte a una situazione alla quale non è preparata e gli interrogativi pratici ed emozionali non trovano risposta adeguata, le risorse sembrano mancare.
           Nel parlare con i bambini, gli adulti, in difficoltà loro stessi, spesso tendono a usare un linguaggio non sempre adeguato all’età e al loro sviluppo. Da un lato, parlare con un linguaggio molto tecnico rischia di allarmare ulteriormente il bambino rispetto a una situazione già percepita come pericolosa e l’incomprensione non fa altro che aumentare nei piccoli la preoccupazione e l’ansia. Al contrario, un linguaggio troppo semplice fa arrabbiare il bambino che si sente preso in giro.  L’uso di esempi può essere di aiuto nella spiegazione, ma questi devono essere scelti sulla base delle capacità di comprensione del bambino, la cui verifica, da parte dell’adulto, permette di correggere e calibrare le comunicazioni successive.
Dire la verità al bambino non è in contraddizione con l’usare storie, immagini o elementi fantastici con cui soprattutto i più piccoli hanno molta familiarità, si tratta di linguaggi che possono fare da ponte tra la realtà e l’immaginazione.
           Comunque, il punto di partenza resta sempre la domanda che pone il bambino, la quale non esige ogni volta una risposta secca ed esaustiva. Trattandosi di domande emozionali, hanno bisogno di tempo per essere gestite e una stessa richiesta può essere riproposta  dal bambino più e più volte. Non sempre è per incomprensione del contenuto, più spesso si tratta della difficoltà di avvicinare il contenuto emozionale che, essendo  vissuto in modo così angoscioso, contribuisce a oscurare o confondere la risposta data. I bambini pongono più volte la stessa domanda anche quando sembra che abbiano compreso il senso della risposta, la ripetizione in genere li rassicura e la reiterazione della domanda e della risposta ha la stessa funzione. L’espressione del volto del bambino è uno dei segnali più chiari del vissuto emozionale relativo a quanto diciamo loro e questo ci può aiutare nella scelta degli argomenti.
           L’importante è aiutare i bambini nella ricerca di parole e azioni capaci di comunicare le emozioni che sentono dentro. Per quanto forti e distruttivi possano essere i vissuti di dolore per la perdita di una persona cara, poterli esprimere rimane un passaggio fondamentale verso la ricerca di un nuovo equilibrio, spiegare i fatti e suscitare pensieri di speranza permette loro di andare oltre la situazione in cui si trovano.
Gloria Invernizzi 


Bibliografia:
Pellai A., Tamborini B. (2011), Perché non ci sei più? Accompagnare i bambini nell’esperienza del lutto, Trento, edizioni Erickson.
Sgarro M., (2008), Il lutto in psicologia clinica e psicoterapia,Torino, Centro Scientifico Editore.

mercoledì 17 luglio 2013

IL GIOCO D'AZZARDO. Indagine Condizione Infanzia e Adolescenza.


da "Indagine Condizione Situazione Infanzia e Adolescenza":

... La crisi economica nel nostro Paese non tocca il settore del gioco d'azzardo, che risulta essere un fenomeno in crescita.
A rischio, in particolare, sono i bambini e gli adolescenti.
Dall'indagine svolta da Telefono Azzurro e Eurispes è infatti emerso che 1 bambino su 6 ha giocato a soldi, 1 su 10 nelle sale giochi, con videopoker e macchinette o online.
Negli adolescenti i dati crescono vertiginosamente: il gioco d'azzardo online resta il luogo prediletto per il 39% di loro, con una particolare preferenza per le scommesse sportive. 1 su 4, invece, gioca alle slot machine nelle sale giochi.
Ad 1 su 10 capita qualche volta o addirittura spesso di perdere tutti i soldi che ha a disposizione .
Gli adolescenti giocano in maggioranza per divertimento o per vincere soldi. Quasi uno su dieci perché attirato dalla pubblicità. 

Il gioco d'azzardo presenza numerosi rischi, tra cui quello di sviluppare dipendenze psicologiche, motivo per cui questo fenomeno richiede grande attenzione.


dott.ssa Laura Tresoldi