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martedì 28 febbraio 2012

Un foglio di emozioni

Un foglio di emozioni
E' notizia dei giorni passati che i bambini della scuola materna che ha ospitato i naufraghi nell'Isola del Giglio hanno rappresentato graficamente la tragedia. Nei loro disegni non si vedono nè morti nè paura, quasi come se fosse un evento fantastico, immaginario, una fiaba. Rappresentano l'accaduto così come lo hanno vissuto, in modo diverso a seconda dell'età e delle esperienze di vita pregresse che li caratterizzano. C'è chi disegna la nave come una balena con la bocca spalancata, chi come un grosso rettangolo in mezzo al mare, chi disegna figure umane nel vuoto del foglio bianco, chi semplicemente scarabocchia.
Sono diversi gli esempi di come questi bambini hanno visto, vissuto e interpretato la tragedi, tutti però ugualmente autentici e veri.
Da un punto di vista più generale, attraverso il disegno i bambini sono in grado di dare voce a ciò che non riescono ad esprimere con le parole, per timidezza, rabbia, a volte paura. Sperimentano emozioni e vissuti, concretizzando il loro mondo interiore e connotandolo di colori, forme, tratti, per renderlo comprensibile e forse anche accettabile a se stessi, e poi agli altri. Dare loro l'opportunità di raccontarlo permette di rendere esplicite le emozioni e le sensazioni che hanno portato a crearlo, evitando che venga dimenticato, e di scindere il vissuto dalla rappresentazione grafica, quasi come se potessero sperimentare un realtà diversa, dove tutto è possibile e dove tutto non è come sembra, perchè filtrato dalla loro ingenuità. Il disegno è quindi un modo alternativo e forse il più autentico per un bambino di raccontare la realtà, vista con i suoi occhi.

Dott.ssa Marianna Ge

lunedì 27 febbraio 2012

domenica 26 febbraio 2012

DONNE E SESSUALITA’

 

IL DISTURBO DELL’ORGASMO FEMMINILE

In questo articolo, che non ha la pretesa di essere esaustivo, cercheremo di fare un breve viaggio nell’ esperienza femminile dell’orgasmo cercando di soffermarci sugli elementi di problematicità che possono,talvolta, ostacolare la possibilità di sperimentarlo.
In un nostro prossimo contributo esploreremo lo stesso tema dal punto di vista maschile.

Partiamo col dire che l’orgasmo rappresenta, per entrambi i sessi, il culmine del piacere sessuale che si traduce in uno stato alterato di coscienza che dura pochi secondi;  esso è generato da una concomitanza di aspetti neurofisiologici e psicologici sia nell’uomo che nella donna.

LA PAROLA ALLE DONNE….
Gli aspetti psicologici connessi all’orgasmo sembrano avere una certa rilevanza soprattutto nella donna che è fortemente condizionata da aspetti di carattere emotivo e soggettivo.
Molte donne non sanno che ognuna può avere tempi e modi diversi per raggiungere l’esperienza orgasmica; in alcuni casi basta rendersi conto che si ha bisogno di una stimolazione più prolungata e più capace di corrispondere ai gusti e alle preferenze personali che, inoltre, è molto utile condividere col partner.  
Sono tante le donne giovani che lamentano questa problematica  e ciò potrebbe essere in parte dovuto al fatto che la “capacità” orgasmica tende ad aumentare proporzionalmente all’esperienza sessuale. “Quando una donna impara come raggiungere l’orgasmo è raro che perda questa capacità, a meno che intervengano una scarsa comunicazione sessuale, un conflitto relazionale, un’esperienza traumatica (es.stupro), un disturbo dell’Umore o una condizione medica generale” (DSM IV-TR,2000).
Per molte donne l’assenza o la fatica nel raggiungimento dell’orgasmo rappresenta un problema che le fa sentire inadeguate come donne e come partner sessuali, tanto che spesso la vita di coppia né è in qualche modo compromessa; d’altra parte va però aggiunto che in alcuni casi le donne riferiscono rapporti sessuali soddisfacenti senza raggiungere l’orgasmo e senza che ciò generi malessere sia a livello personale che col partner (Meston et al., 1998).
Alcune donne riferiscono di riuscire a sperimentare l’orgasmo, ma non attarverso la penetrazione.
La casistica può essere davvero ampia e non dobbiamo mai dimenticare che la sessualità è un ambito della vita in cui è possibile un’estrema libertà, e che ciò che genera disagio ad una donna o ad una coppia, può non rappresentare un problema per altre donne o altre coppie.
La sessualità è un dialogo che la coppia co-cotruisce, è un linguaggio intimo e privato che sarà diverso in ogni relazione, e anche all’interno nella stessa coppia può conoscere momenti e sfumature differenti.
LA PAROLA AGLI ESPERTI….
Se da una parte è verò che la casistica è ampia e le situazioni sono diverse e vengono valutate nella loro “unicità” è vero anche che gli specialisti usano criteri specifici, utili a formulare una diagnosi che, a sua volta, suggerisce un intervento adeguato. Nello specifico si può parlare di disturbo dell’orgasmo femminile in presenza di un “persistente o ricorrente ritardo o assenza dell’orgasmo dopo una fase normale di eccitazione sessuale. Le donne mostrano un’ampia variabilità nel tipo o nell’intensità della stimolazione che induce l’orgasmo. La diagnosi di disturbo dell’orgasmo femminile dovrebbe basarsi sulla valutazione del clinico che la capacità di orgasmo della donna sia minore di quanto ci si aspetterebbe per età, esperienza sessuale, e adeguatezza della stimolazione sessuale ricevuta” (DSM IV-TR, 2000). Inoltre per poter fare questo genere di diagnosi è necessario che l’anomalia generi un notevole disagio o difficoltà interpersonali ed è fondamentale escludere che il problema sia dovuto ad un altro disturbo clinico, agli effetti di sostanze (droghe-farmaci) o ad una condizione medica generale.
Inoltre come per tutti i disturbi sessuologici nell’uomo o nella donna, anche per i disturbi dell’orgasmo possono  dirsi “situazionali” quando si presentano solo in certe situazioni o al contrario “generalizzati” quando si verificano in ogni circostanza.  Quando la difficoltà si manifesta solo in alcune situazioni può essere anche presente una concomitante difficoltà nella fase di eccitazione o del desiderio.
 Il disturbo può inoltre essere definito “primario” quando non si è mai provato l’orgasmo nella vita, oppure “secondario” quando la difficoltà  si verifica dopo un periodo di “normalità”.
L’orgasmo è l’esperienza per antonomasia, in cui si perde il controllo e la lucidità e si sperimenta un vissuto di completo abbandono che non sempre ci si concede o si riesce a sperimentare e ciò può dipendere da tanti motivi che possono essere: medici, psicologici individuali e/o relazionali oppure si può trattare di un’insieme di motivi medici e psicologici combinati.
Prenderemo soprattuto in considerazione aspetti psicologici individuali e relazionali.
Dai dati presenti in letteratura emerge che spesso si riscontra in donne con difficoltà a raggiungere l’orgasmo, una certa tendenza all’ipercritica rivolta a se stesse associata ad un forte bisogno di tenere tutto sotto controllo, questo mix di aspetti può portare a sperimentare lo “SPECTORING”, ossia la tendenza a faticare a lasciarsi completamente andare nell’intimità perché concentrate ad auto-osservarsi (come se si fosse spettatrici più che protagoniste dell’esperienza stessa), si può riscontrare inoltre una personalità con tratti dipendenti, una sorta di fatica nell’espressione delle emozioni e una certa dose di ansia. Il disturbo dell’Orgasmo femminile può compromettere l’immagine corporea, l’autostima, o la soddisfazione delle relazioni (DSM IV-TR, 2000).
Spesso influiscono aspetti relazionali: una scarsa comunicazione sulla sessualità all’interno della coppia può essere correlata alla difficoltà a raggiungere l’orgasmo, frequantemente si riscontrano difficoltà relazionali all’interno della coppia, scarsa fiducia nel partner, lotte di potere interne alla coppia.
COSA FARE
Come per qualsiasi disfunzione sessuale è sempre consigliato escludere primariamente  problematiche di carattere  medico pertanto si invita a rivolgersi ad uno specialista per una prima valutazione.
Una volta escluse o individuate problematiche di carattere fisico l’aiuto di un esperto in sessuologia può aiutare ad affrontare la problematica e a ritrovare la serenità personale e relazionale, in base infatti alla specifica situazione il clinico indicherà il tipo di intervento più adatto.

Dott.ssa Marzia Montinaro 

BIBLIOGRAFIA
- “L’ approccio integrato in sessuologia clinica”, a cura di C. Simonelli- FrancoAngeli, Milano, 2006.
- “Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali–DSM IV-TR”, Masson (2000).
- “Nuove terapie sessuali”, H.S. Kaplan, Studi Bompiani, Milano, 1976.
- “Socially desirable responding and sexuality self-reports”, The Journal of Sex Research, 35: 148-157- Meston C.M, Heiman J.R., Trapnell P.D., Paulhus D.L.; 1998.

venerdì 24 febbraio 2012

I VOSTRI COMMENTI

Cari visitatori, oltre che ringraziarvi per l'affetto con cui ci seguite vogliamo comunicarvi che è stato risolto il problema tecnico che non consentiva di commentare i nostri post..per cui vi invitiamo a ritentare! Vi aspettiamo!

PSICOPENSIERI

LETTERE E NUMERI BIRICCHINI

LETTERE E NUMERI BIRICCHINI
I DISTURBI SPECIFICI DELL'APPRENDIMENTO IN ETÀ EVOLUTIVA (DSA)
Denominati come Dislessia, Disgrafia, Disortografia, Discalculia, i disturbi dell'apprendimento sono sottesi da specifiche disfunzioni neurolopsicologiche isolate o combinate e sono ereditari. Essi hanno un'incidenza del 3-5%, che sale al 15-16% se si parla di difficoltà scolastiche.
Si può porre diagnosi di DSA quando, a test standardizzati di scrittura, lettura, calcolo, il bambino legge, scrive, utilizza i numeri non come ci si aspetterebbe per la sua età e solo se il livello intellettivo è nei limiti (Q.I. = 85 o più)
Nel DSM IV sono inseriti nell'Asse I come Disturbi della Lettura, dell'Espressione Scritta e del Calcolo.

LA DIAGNOSI:
La diagnosi viene posta alla fine del II anno della scuola primaria per la Dislessia, Disortografia, Disgrafia, mentre al termine del III anno della scuola primaria per la Discalculia. Già alla fine del I° anno della scuola primaria, tuttavia, profili funzionali compromessi e presenza di altri specifici indicatori diagnostici (ritardo del linguaggio e anamnesi familiare positiva per DSA) possono anticipare i termini della formulazione diagnostica.

QUALI SONO?

DISLESSIA: è una difficoltà che riguarda la capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente.
DISGRAFIA: è caratterizzata dalla difficoltà a riprodurre segni alfabetici e numerici e infine riguarda esclusivamente il grafismo può essere legata ad un quadro di disprassia, può essere secondaria ad una lateralizzazione incompleta-
DISORTOGRAFIA:è la difficoltà a tradurre correttamente i suoni che compongono le parole in simboli grafici. I sintomi della disortografia possono essere omissioni di grafemi o parti di parola (es. pote per ponte o camica per camicia), sostituzioni di grafemi (es. vaccia per faccia; parde per parte), inversioni di grafemi (es. il per li; spicologia per psicologia).
DISCALCULIA:è il disturbo di riconoscimento e denominazione dei simboli numerici,  scrittura dei numeri, associazione del simbolo numerico alla quantità corrispondente, numerazione in ordine crescente e decrescente, risoluzione di situazioni problematiche.

COSA FARE?

Dopo aver somministrato i test i neuropsichiatri o psicologi esperti devono redigere una diagnosi approfondita, indicare la possibilità dell'utilizzo di strumenti compensativi e facilitativi (uso della calcolatrice, tavole pitagoriche,verifiche orali…), comunicare con la scuola per creare una rete di condivisione di obiettivi, se il bambino è nel primo ciclo della scuola primaria si consiglia una terapia logopedica o una terapia neuropsicologica. L'ambiente, soprattutto quello familiare, deve appoggiare il bambino, aiutandolo nelle strategie di compenso e nella costruzione di un'immagine positiva di sé.

Dott.ssa Arianna Borchia

giovedì 23 febbraio 2012

Cavalli che curano


Cavalli che curano


Paul Gauguin. Il cavallo bianco - 1898

“Ah quella piccola emozione che si rinnova
quando mi avvicino a un cavallo e
si incrociano i nostri sguardi!
Lui sospira, io accarezzo il velluto delle sue narici
E il cuore batte”.

B.Mols

 


Il cavallo nella nostra cultura possiede una forte carica simbolica: è un animale affascinante, forte e libero, nell’immaginario collettivo esprime la rappresentazione stessa dell’energia vitale e istintuale.

Dal punto di vista psicanalitico, Jung ne rileva il principio femminile materno rappresentato nella mitologia greca dalle divinità della creazione, della fecondità e dell'abbondanza, a cui il cavallo è legato, ma pure l’ aspetto simbolico maschile della forza fisica, per il quale il cavallo è rappresentante primario dello slancio biologico e naturale che attiene la sfera istintiva ed inconscia, non sprovvisto di una certa aggressività.

Si può capire, quindi, come nell’attività equestre intervengano sempre elementi proiettivi, identificatori anche liberatori, difficilmente esprimibili in altri contesti.

La terapia con il cavallo riproduce un’esperienza precoce della vita del soggetto, il rapporto contenitivo madre – bambino, riproponendo un ambiente materno accogliente e “sufficientemente buono” (Winnicott); in questa condizione di simbiosi, in virtù del passo regolare e costante dell’animale che determina il tipico dondolamento e cullamento, vediamo il soggetto passare da una situazione di chiusura, ripiegato su se stesso in un desiderio di sicurezza e protezione dalle aggressioni esterne, ad una vera e propria apertura.

L’effetto terapeutico della riabilitazione equestre si basa sul particolare rapporto che si instaura tra il soggetto ed il cavallo, fondato su un linguaggio prettamente motorio, ricco di sensazioni piacevoli e rassicuranti, estremamente coinvolgenti sotto il profilo emotivo. Fino dalle fasi iniziali, a terra, la conoscenza dell’animale e del suo ambiente, la sua cura, contribuiscono ad instaurare senso di fiducia e di sicurezza, che troveranno ancora maggiore stimolazione nella fase successiva del montare a cavallo. L’assetto specifico del montare a cavallo rappresenta una vera e propria correzione globale della postura e in special modo il movimento ritmato ed oscillatorio tipico del cavallo determina sul paziente una molteplicità di stimoli sensoriali e sensitivi, che interessano il bacino, con stimolazione dei sistemi di equilibrio e dei meccanismi di raddrizzamento e di coordinazione. Nel progredire del percorso riabilitativo, ove questo sia possibile, aumenta la capacità di progettare ed organizzare il movimento (conoscenza spazio-tempo), il controllo della propria emotività, il sentimento di fiducia e di autostima, l’inserimento sociale.

In campo psichiatrico, la Terapia con il cavallo trova una sua applicazione in quelle psicopatologie che comportano disturbi in varie aree quali: funzioni senso-motorie, capacità comunicative, contenimento degli impulsi, sviluppo emotivo e adattamento sociale. In particolare può essere applicata nei disturbi psicotici e schizofrenici, nei disturbi dello spettro autistico, nel ritardo mentale, nei disturbi dell’alimentazione e nella depressione.

“Nella patologia psicotica le emozioni fondamentali, le sensazioni di panico, sono congelate nelle facce, nei corpi, nei movimenti dei pazienti, così come è congelato il loro assetto psichico: immagini, idee, fantasie. Lavorare alle possibilità di trasformazione di vissuti corporei permette il passaggio da un corpo, sentito come estraneo, potenzialmente ostile, pieno di sensazioni e di oggetti negativi e pericolosi, a un corpo sperimentato come amico, ma soprattutto come proprio, nell’ottica simbolica di un cammino terapeutico dall’isolamento a una progressiva relazionalità.” (Frascarelli M., Citterio D.N. 2001).

Dott.ssa Elena Martinalli


lunedì 20 febbraio 2012

Protocollo d'Intesa tra l'Ordine degli Psicologi del Lazio e Costa Crociere S.p.A.

http://www.ordinepsicologilazio.it/news/pagina302.html

Siglata una convenzione per assistere gli ospiti, i membri dell'equipaggio e i familiari delle vittime e dei dispersi coinvolti nell'incidente della Costa Concordia

domenica 19 febbraio 2012

ATTACCO DI PANICO…COSA VUOI DIRMI?


ATTACCO DI PANICO…COSA VUOI DIRMI?

Si narra che tra gli Dei vivesse il Dio Pan che era noto perché si adirava con chi lo disturbava tanto da emettere urla terrificanti, provocando così una incontrollata paura e panico.
Questa suggestione mitologica è simile al modo in cui chi sperimenta attacchi di panico (DAP) racconta la sua esperienza: si tratta di momenti di terrore inaspettato accompagnato da sintomi come palpitazioni, sudorazione, tremore, nausea, vampate di calore, brividi, senso di oppressione toracica, respirazione difficoltosa.  
Da un punto di vista psicologico spesso è rintracciabile alla base una fatica che la persona sente rispetto alla possibilità/necessità di compiere dei passaggi importanti per il ciclo di vita che rappresentano delle tappe necessarie alla crescita e alla maturità personale e relazionale.
Non ci è dato di vivere sull’ “Isola che non c’è”, volare e restare fermi ad un’età che rappresenta la libertà..proprio come Peter Pan…è umano però far fatica a rinunciare a questo desiderio e accettare le responsabilità e le sfide della vita, tanto che il panico può rappresentare un campanello di allarme che ci suggerisce di fermarci e riflettere sul senso delle scelte che stiamo compiendo e sulle motivazioni ad esse sottese.
Se gli attacchi di panico persistono può essere utile chiedere un aiuto specialistico al fine di  esplorare insieme le ragioni del malessere che una volta comprese potranno consentire, finalmente, di spiccare il volo nella vita, a qualsiasi età; non è forse questa la libertà che desideri?

Dott.ssa Marzia Montinaro

venerdì 17 febbraio 2012

CONVIVENZA CON I PROPRI LIMITI


“Impossible is nothing”

Il vocabolario di lingua italiana dà alla parola LIMITE tre diversi significati:
·         Linea che divide
·         Punto estremo a cui può arrivare qualcosa
·         Termine che non si può o non si deve superare
Il primo significato ricorda un semplice concetto geometrico: una linea che divide qualcosa. Il secondo significato, invece, parla di una estremità, quasi come se il limite fosse un muro non superabile, oltre il quale non si può andare. Il terzo significato, infine, parla di un qualcosa che non si può o non si deve superare facendo ricordare un po’ il concetto di regola oltre la quale non si può andare!
E allora la frase “Impossible is nothing” è del tutto un’illusione? E’ solo uno slogan pubblicitario? Un eccesso di positivismo?
Ragioniamo passo dopo passo.

Quando una persona sente di avere dei limiti?

Normalmente questo accade quando ha un obiettivo da raggiungere e le sembra di non farcela o quando si pone una meta a cui arrivare, ma non si sente abbastanza capace, quasi come se le mancassero le risorse per giungere al traguardo.
Questa sensazione di limite ci fa ovviamente sentire male, non soddisfatti, incompetenti, incapaci e chi più ne ha più ne metta.  
In psicologia il concetto che ci può aiutare a capire meglio questo limite è quello di MOTIVAZIONE. La motivazione è la spinta che ogni organismo possiede per raggiungere determinati scopi.
In particolare la prospettiva cognitiva ci aiuta a capire come le persone decidono le  mete da raggiungere e come le stesse valutano il risultato finale, cioè l’essere o meno arrivati.
Normalmente pare che le persone siano maggiormente motivate a scegliere quegli obiettivi che si mostrano per loro più adeguati e, soprattutto, più utili a migliorare la loro vita.
Non scegliamo mai a caso i nostri obiettivi: ognuno di noi tende naturalmente al successo e all’evitamento dell’insuccesso.
Ma c’è dell’altro!
Una volta che si sono prefissati i propri obiettivi, la persona cerca di raggiungerli e alla fine valuta quello che è stato il suo risultato.
Ognuno di noi valuta il risultato raggiunto perchè siamo sempre alla ricerca di una ATTRIBUZIONE DI SENSO di quello che ci accade!
Dare un senso a qualcosa significa cercare di spiegare gli eventi al fine di controllarli, prevederli e quindi rispondere in futuro con comportamenti adeguati.

Per certi versi, quindi, dato un obiettivo o una meta da raggiungere, la valutazione dei nostri limiti non è nient’altro che una attribuzione di senso!

Vediamoci chiaro!
Il contributo di Fritz Heider sembra essenziale! Egli sosteneva che il compito primario della Psicologia fosse capire come le persone interpretano gli eventi.
Ognuno di noi è un po’ come uno scienziato ingenuo che cerca di spiegare quello che accade intorno a lui mettendo in relazione l’osservabile con cause non osservabili!
Il punto focale di questo discorso sembra essere il concetto di CAUSA.
Dove collochiamo la causa dei nostri successi?
Dove collochiamo la causa dei nostri insuccessi e dei nostri limiti?
Non tutti lo facciamo allo stesso modo!
Heider suddivise le attribuzioni di causa in due grosse categorie:
·         INTERNE: la mia capacità, il mio impegno, i miei sforzi…
·         ESTERNE: la difficoltà di un compito, la fortuna, la sfortuna…
Da qui ne deriva che chi tende a valutarsi in modo positivo cercherà di considerare i successi come derivati da cause interne e gli insuccessi come causati da fattori esterni!
Al contrario, chi normalmente si valuta in modo pessimista considererà i successi come derivati dalla fortuna o da circostanze esterne e situazionali e gli insuccessi come determinati, ovviamente, da cause interne che riguardano strettamente la propria persona.
Non sono quindi solo le nostre competenze a definire le nostre prestazioni! È il modo in cui noi ci percepiamo in relazione ad esse che ci fa cambiare prospettiva!
Se questo nuovo modo di pensare, però, non dovesse bastare, un percorso psicologico ti potrebbe aiutare a conoscere meglio le tue potenzialità attraverso lo strumento del Bilancio delle Competenze. Tale bilancio è una ricostruzione del proprio vissuto, professionale ed esistenziale, che ti aiuta in una riflessione più consapevole delle tue caratteristiche, dei tuoi modi di agire e di pensare nelle diverse situazioni reali. Attraverso il Bilancio delle competenze si diventa più consapevoli delle proprie potenzialità e di quelli che si percepiscono come limiti ma che, con opportune strategie, potrebbero essere affrontati e…perché no…superati!


Dott.ssa Prada Laura, Studio di Psicologia Il Racconto

domenica 12 febbraio 2012

Ti fidi del tuo terapeuta?



Ally: " ma che "razza" di terapia è questa?"
Terapista: "oh... questa non è terapia. Volevo solo sapere se ti fidi di me!"






QUALI FATTORI CONTRIBUISCONO ALLA TENUTA NEL TEMPO DEL LEGAME CONIUGALE?

QUALI FATTORI CONTRIBUISCONO ALLA TENUTA NEL TEMPO DEL LEGAME CONIUGALE?

L’indagine dei fattori che determinano la stabilità della relazione coniugale è piuttosto recente – perché attuale risulta l’indebolimento della dimensione dell’impegno che si osserva nel contesto sociale – e  nasce come risposta all’esigenza di far fronte  al fenomeno conseguente dell’aumento  dell’instabilità o frattura dei legami di coppia.

Se consideriamo l’attuale modo di vivere la coniugalità da parte delle nuove generazioni, non può non imporsi all’attenzione l’emergente scarto col passato, relativamente all’enfasi che si attribuisce agli aspetti affettivo-emotivi che danno vita alla relazione.  Si tende infatti a relegare sullo sfondo gli aspetti etici di impegno reciproco perché in primo piano è posto il proprio benessere personale. Il risultato di un siffatto atteggiamento autoreferenziale è compatibile con un modello di relazione a due di tipo individualistico che prevede un minore investimento nella relazione coniugale e una maggiore spinta alla realizzazione di sé. Si insegue l’illusione di riuscire senza alcun sacrificio a raggiungere la felicità individuale all’interno del rapporto a due. Illusione che presto si scontra con la realtà fatta di gioie ma anche di  dolori. E’ forse l’incapacità di farvi fronte che porta i membri della coppia ad effettuare il paragone tra quello che è il  proprio sogno di vita a due e il prodotto reale dell’incontro con l’altro. Di qui le due opposte direzioni percorribili: la scelta di “chiudere il dolore” separandosi  o  quella, oggi meno percorsa, di dedicarsi con volontà e impegno ad un rilancio e dunque alla difesa del rapporto con l’altro.  Sembra che  lo schema seguito dai prodotti di consumo si sia esteso anche per i rapporti personali: nulla è più durevole e tutto appare potenzialmente revocabile. Ma l’abbandono del patto coniugale per istituirne uno nuovo rappresenta una soluzione adeguata al problema?

Un ruolo centrale nelle ricerche che indagano i fattori che favoriscono la stabilità coniugale è assunto dal commitment.  Con questo termine si intende esprimere sia la dimensione etica dell’impegno-dedizione sentito dai coniugi rispetto  all’istituzione matrimoniale che l’impegno reciproco dell’uno verso l’altro. Viene definito come l’intenzione personale a voler far perdurare quell’unione, lo sforzo di assicurare continuità al rapporto migliorandone la qualità, il sentirsi intimamente legati alla relazione. E’ in base all’impegno etico sentito nei riguardi della propria  relazione che i coniugi possono non solo arrivare a promuovere dei  comportamenti volti  a favorire il benessere della relazione (pro-relationship) ma anche aumentare il desiderio di sostenerla in ordine alla sua qualità – qualità della comunicazione, gestione intelligente del conflitto, accordo – e stabilità. In particolare è nel comportamento definito di accomodamento che  alcuni autori, individuano quell’azione tesa alla promozione della relazione. Esso si traduce nella tendenza a reagire, durante le discussioni, ai comportamenti distruttivi o offensivi in maniera costruttiva, ovvero inibendo gli impulsi a reagire con modalità negative e compiendo, di contro, uno sforzo di volontà che conduce alla messa in atto di comportamenti positivi.  Si ritiene, infatti, che sul benessere coniugale abbiano maggiore incisività più i comportamenti tesi alla riduzione della distruttività che quelli volti ad aumentarne la positività. L’accomodamento non rappresenta un atteggiamento che spontaneamente si manifesta in occasione degli scontri ma l’esito di uno sforzo di volontà in cui, in nome del valore del legame, si decide,  inconsapevolmente,  di spostare l’interesse per sé (self-interested) all’interesse per la relazione (pro-relationship). Questo cambio di rotta è reso possibile dal mutamento della motivazione, ovvero dalla capacità dei coniugi, impegnati in uno scontro aggressivo, di guardare oltre, perdonando.  Si tratta, in altri termini, di una capacità di regolazione dell’aggressività alla cui base viene posto la disponibilità alla riconciliazione e la dedizione.  I partner devono, dunque, poter riuscire a porre in essere azioni capaci di spezzare il circolo vizioso del conflitto per approdare ad una riconciliazione che consenta alle parti di avere una visione più completa delle modalità positive di relazione cui potersi riferire, nuovi modi di porsi rispetto all’altro/a che senza l’occasione del conflitto spesso non sarebbe possibile sperimentare. Si può anche dire che i processi di riconciliazione e dedizione rappresentano l’altra faccia  della medaglia del ciclo di reciprocità negativa che si viene, in questo caso, a configurare positivamente. Il meccanismo conflittuale che spesso conduce alla distruzione  della relazione può talora invertire la sua direzione in senso costruttivo se i partner riescono a trascurare le pecche reciproche più che amplificarle, risultando così in grado di rivisitare i loro comportamenti negativi rendendosi disponibili a modificarli. Non si accumula ingiustizia e sfiducia se alla base del rapporto vi è l’intenzione di impegno e la ricerca costante di strategie utili a ricreare un legame anche passando da situazioni dolorose. Dedicarsi  reciprocamente al patto coniugale significa investire di valore il legame di coppia. Si può dire che il patto coniugale che la coppia stringe diventa una sorta di ‘oggetto terzo’, uno spazio-terreno comune che può e deve ricevere  azioni concrete di cura da entrambi i partner.

Un altro fattore etico della relazione è il supporto. Differentemente dall’impegno che rappresenta la dedizione dei coniugi nei confronti del patto, questo costrutto  esprime quell’atteggiamento etico di cura e attenzione che i coniugi  si scambiano reciprocamente specie in momenti difficili o critici. La differenza tra di essi risiede dunque  nell’oggetto cui è destinata l’attenzione e la cura. Il supporto è inteso come un indicatore del sostegno e della comprensione che il soggetto riceve, o pensa di ricevere e dare nella relazione con il partner. Esso si è rivelato un  fattore altamente protettivo della qualità della relazione coniugale. Gli aspetti del  dare e ricevere sostegno   arricchiscono la relazione perché permettono di percepirsi e qualificare se stessi non solo come agenti di cura ma anche come bisognosi dell’altro e del suo riconoscimento.  

Si può, in conclusione dire che è insita nella natura umana la capacità di edificare un mondo durevole, e tenere fede alla promessa vincolante  che implica impegno e responsabilità consente perlomeno di gettare “isole di sicurezza” – senza le quali non è pensabile la continuità –  nell’incerto futuro.  


                                                                                                           Dott.ssa Moira Melis 

giovedì 9 febbraio 2012

Psicoteca a Monza


Una Psicoteca in Biblioteca
Biblioteca San Gerardo - via Lecco 1 - Monza 

OLTRE IL FARE QUOTIDIANO, LE NOSTE EMOZIONI

IO MAMMA

Tre incontri per offrire un momento relazionale di scambio, sostegno e rispecchiamento tra mamme di bimbi da 0 a 3 anni

In collaborazione con Dott.ssa Francesca Cadeo, Dott.Dario Ferrario, 
Dott.ssa Laura Tresoldi

Lunedì 27 febbraio, ore 10.30
Io-donna nasco mamma

Lunedì 5 marzo, ore 10.30
Io e il mio bambino

Sabato 10 marzo, ore 10.30
Io e il mio compagno, un padre
(L’esperienza in questo caso prevede la partecipazione della coppia)


Biblioteca San Gerardo - via Lecco 1 - Monza
Studio di Psicologia Zetema– via Ariosto, 10 – Monza Partecipazione Gratuita
3460945270 - info@studiozetema.it Prenotazione Necessaria

mercoledì 8 febbraio 2012

30 MARZO, ORE 20.30 SCUOLA PRIMARIA COLLODI – SANT’ANGELO LODIGIANO “MAMMA, PAPA’ … PERCHE’ NO? ”. Relatore: Dott. ssa Arianna Borchia
In questi ultimi anni, la figura del genitore ha  subito  forti scossoni e risulta essere mutata rispetto al passato.
Ma dove andare? Come fare? Come capire?
Proviamo a tracciare un sentiero di condivisione per aiutare genitori e ragazzi a fare le scelte giuste, o almeno a provare, tenendo conto dell’importanza di avere ben chiara la meta: la presenza costante ed empatica della famiglia per dare sicurezza, serenità e motivazione per il futuro.
La Direzione Didattica “Collodi”, in collaborazione con alcuni specialisti del territorio, propone quattro incontri, finalizzati ad offrire un aiuto pratico e concreto su come agire per  capire prima noi stessi e poi  i  nostri figli.

martedì 7 febbraio 2012

CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI

CODICE DEONTOLOGICO DEGLI PSICOLOGI ITALIANI

Capo I - Principi generali

Articolo 1
Le regole del presente Codice deontologico sono vincolanti per tutti gli iscritti all'Albo degli psicologi. Lo psicologo è tenuto alla loro conoscenza, e l'ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità disciplinare.
Articolo 2
L'inosservanza dei precetti stabiliti nel presente Codice deontologico, ed ogni azione od omissione comunque contrarie al decoro, alla dignità ed al corretto esercizio della professione, sono punite secondo quanto previsto dall'art. 26, comma 1°, della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, secondo le procedure stabilite dal Regolamento disciplinare.
Articolo 3
Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell'individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell'esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l'uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale. Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.
Articolo 4
Nell'esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all'autodeterminazione ed all'autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall'imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l'utente e l'istituzione presso cui lo psicologo opera, quest'ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell'intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell'intervento stesso.
Articolo 5
Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.
Articolo 6
Lo psicologo accetta unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la sua autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice, e, in assenza di tali condizioni, informa il proprio Ordine. Lo psicologo salvaguarda la propria autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici, nonché della loro utilizzazione; è perciò responsabile della loro applicazione ed uso, dei risultati, delle valutazioni ed interpretazioni che ne ricava. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercita la piena autonomia professionale nel rispetto delle altrui competenze.
Articolo 7
Nelle proprie attività professionali, nelle attività di ricerca e nelle comunicazioni dei risultati delle stesse, nonché nelle attività didattiche, lo psicologo valuta attentamente, anche in relazione al contesto, il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte; espone, all'occorrenza, le ipotesi interpretative alternative, ed esplicita i limiti dei risultati. Lo psicologo, su casi specifici, esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta ovvero su una documentazione adeguata ed attendibile.
Articolo 8
Lo psicologo contrasta l'esercizio abusivo della professione come definita dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e segnala al Consiglio dell'Ordine i casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza. Parimenti, utilizza il proprio titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti, e non avalla con esso attività ingannevoli od abusive.
Articolo 9
Nella sua attività di ricerca lo psicologo è tenuto ad informare adeguatamente i soggetti in essa coinvolti al fine di ottenerne il previo consenso informato, anche relativamente al nome, allo status scientifico e professionale del ricercatore ed alla sua eventuale istituzione di appartenenza. Egli deve altresì garantire a tali soggetti la piena libertà di concedere, di rifiutare ovvero di ritirare il consenso stesso. Nell' ipotesi in cui la natura della ricerca non consenta di informare preventivamente e correttamente i soggetti su taluni aspetti della ricerca stessa, lo psicologo ha l'obbligo di fornire comunque, alla fine della prova ovvero della raccolta dei dati, le informazioni dovute e di ottenere l'autorizzazione all'uso dei dati raccolti. Per quanto concerne i soggetti che, per età o per altri motivi, non sono in grado di esprimere validamente il loro consenso, questo deve essere dato da chi ne ha la potestà genitoriale o la tutela, e, altresì, dai soggetti stessi, ove siano in grado di comprendere la natura della collaborazione richiesta. Deve essere tutelato, in ogni caso, il diritto dei soggetti alla riservatezza, alla non riconoscibilità ed all'anonimato.
Articolo 10
Quando le attività professionali hanno ad oggetto il comportamento degli animali, lo psicologo si impegna a rispettarne la natura ed a evitare loro sofferenze.
Articolo 11
Lo psicologo è strettamente tenuto al segreto professionale. Pertanto non rivela notizie, fatti o informazioni apprese in ragione del suo rapporto professionale, né informa circa le prestazioni professionali effettuate o programmate, a meno che non ricorrano le ipotesi previste dagli articoli seguenti.
Articolo 12
Lo psicologo si astiene dal rendere testimonianza su fatti di cui è venuto a conoscenza in ragione del suo rapporto professionale. Lo psicologo può derogare all'obbligo di mantenere il segreto professionale, anche in caso di testimonianza, esclusivamente in presenza di valido e dimostrabile consenso del destinatario della sua prestazione. Valuta, comunque, l'opportunità di fare uso di tale consenso, considerando preminente la tutela psicologica dello stesso.
Articolo 13
Nel caso di obbligo di referto o di obbligo di denuncia, lo psicologo limita allo stretto necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del proprio rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica del soggetto. Negli altri casi, valuta con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente alla propria doverosa riservatezza, qualora si prospettino gravi pericoli per la vita o per la salute psicofisica del soggetto e/o di terzi.
Articolo 14
Lo psicologo, nel caso di intervento su o attraverso gruppi, è tenuto ad in informare, nella fase iniziale, circa le regole che governano tale intervento. È tenuto altresì ad impegnare, quando necessario, i componenti del gruppo al rispetto del diritto di ciascuno alla riservatezza.
Articolo 15
Nel caso di collaborazione con altri soggetti parimenti tenuti al segreto professionale, lo psicologo può condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione.
Articolo 16
Lo psicologo redige le comunicazioni scientifiche, ancorché indirizzate ad un pubblico di professionisti tenuti al segreto professionale, in modo da salvaguardare in ogni caso l'anonimato del destinatario della prestazione.
Articolo 17
La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche attraverso la custodia e il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto professionale. Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto previsto da norme specifiche. Lo psicologo deve provvedere perché, in caso di sua morte o di suo impedimento, tale protezione sia affidata ad un collega ovvero all'Ordine professionale. Lo psicologo che collabora alla costituzione ed all'uso di sistemi di documentazione si adopera per la realizzazione di garanzie di tutela dei soggetti interessati.
Articolo 18
In ogni contesto professionale lo psicologo deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte del cliente e/o del paziente, del professionista cui rivolgersi.
Articolo 19
Lo psicologo che presta la sua opera professionale in contesti di selezione e valutazione è tenuto a rispettare esclusivamente i criteri della specifica competenza, qualificazione o preparazione, e non avalla decisioni contrarie a tali principi.
Articolo 20
Nella sua attività di docenza, di didattica e di formazione lo psicologo stimola negli studenti, allievi e tirocinanti l'interesse per i principi deontologici, anche ispirando ad essi la propria condotta professionale.
Articolo 21
Lo psicologo, a salvaguardia dell'utenza e della professione, è tenuto a non insegnare l'uso di strumenti conoscitivi e di intervento riservati alla professione di psicologo, a soggetti estranei alla professione stessa, anche qualora insegni a tali soggetti discipline psicologiche. È fatto salvo l'insegnamento agli studenti del corso di laurea in psicologia, ai tirocinanti, ed agli specializzandi in materie psicologiche.

Capo II - Rapporti con l'utenza e con la committenza

Articolo 22
Lo psicologo adotta condotte non lesive per le persone di cui si occupa professionalmente, e non utilizza il proprio ruolo ed i propri strumenti professionali per assicurare a sè o ad altri indebiti vantaggi.
Articolo 23
Lo psicologo pattuisce nella fase iniziale del rapporto quanto attiene al compenso professionale. In ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza dell'opera. In ambito clinico tale compenso non può essere condizionato all'esito o ai risultati dell'intervento professionale.
Articolo 24
Lo psicologo, nella fase iniziale del rapporto professionale, fornisce all'individuo, al gruppo, all'istituzione o alla comunità, siano essi utenti o committenti, informazioni adeguate e comprensibili circa le sue prestazioni, le finalità e le modalità delle stesse, nonché circa il grado e i limiti giuridici della riservatezza. Pertanto, opera in modo che chi ne ha diritto possa esprimere un consenso informato. Se la prestazione professionale ha carattere di continuità nel tempo, dovrà esserne indicata, ove possibile, la prevedibile durata.
Articolo 25
Lo psicologo non usa impropriamente gli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispone. Nel caso di interventi commissionati da terzi, informa i soggetti circa la natura del suo intervento professionale, e non utilizza, se non nei limiti del mandato ricevuto, le notizie apprese che possano recare ad essi pregiudizio. Nella comunicazione dei risultati dei propri interventi diagnostici e valutativi, lo psicologo è tenuto a regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica dei soggetti.
Articolo 26
Lo psicologo si astiene dall'intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con l'efficacia delle sue prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. Lo psicologo evita, inoltre, di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti dell'utenza, anche su richiesta dell'Autorità Giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa comprometterne la credibilità e l'efficacia.
Articolo 27
Lo psicologo valuta ed eventualmente propone l'interruzione del rapporto terapeutico quando constata che il paziente non trae alcun beneficio dalla cura e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento della cura stessa. Se richiesto, fornisce al paziente le informazioni necessarie a ricercare altri e più adatti interventi.
Articolo 28
Lo psicologo evita commistioni tra il ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l'attività professionale o comunque arrecare nocumento all'immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o di psicoterapia rivolti a persone con le quali ha intrattenuto o intrattiene relazioni significative di natura personale, in particolare di natura affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare le suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Allo psicologo è vietata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per lui indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non patrimoniale, ad esclusione del compenso pattuito. Lo psicologo non sfrutta la posizione professionale che assume nei confronti di colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.
Articolo 29
Lo psicologo può subordinare il proprio intervento alla condizione che il paziente si serva di determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto per fondati motivi di natura scientifico-professionale.
Articolo 30
Nell'esercizio della sua professione allo psicologo è vietata qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali.
Articolo 31
Le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela. Lo psicologo che, in assenza del consenso di cui al precedente comma, giudichi necessario l'intervento professionale nonché l'assoluta riservatezza dello stesso, è tenuto ad informare l'Autorità Tutoria dell'instaurarsi della relazione professionale. Sono fatti salvi i casi in cui tali prestazioni avvengano su ordine dell'autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte.
Articolo 32
Quando lo psicologo acconsente a fornire una prestazione professionale su richiesta di un committente diverso dal destinatario della prestazione stessa, è tenuto a chiarire con le parti in causa la natura e le finalità dell'intervento.

Capo III - Rapporti con i colleghi

Articolo 33
I rapporti fra gli psicologi devono ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. Lo psicologo appoggia e sostiene i Colleghi che, nell'ambito della propria attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessa la loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.
Articolo 34
Lo psicologo si impegna a contribuire allo sviluppo delle discipline psicologiche e a comunicare i progressi delle sue conoscenze e delle sue tecniche alla comunità professionale, anche al fine di favorirne la diffusione per scopi di benessere umano e sociale.
Articolo 35
Nel presentare i risultati delle proprie ricerche, lo psicologo è tenuto ad indicare la fonte degli altrui contributi.
Articolo 36
Lo psicologo si astiene dal dare pubblicamente su colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza ed ai risultati conseguiti a seguito di interventi professionali, o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale. Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi negativi siano volti a sottrarre clientela ai colleghi. Qualora ravvisi casi di scorretta condotta professionale che possano tradursi in danno per gli utenti o per il decoro della professione, lo psicologo è tenuto a darne tempestiva comunicazione al Consiglio dell'Ordine competente.
Articolo 37
Lo psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle proprie competenze. Qualora l'interesse del committente e/o del destinatario della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo propone la consulenza ovvero l'invio ad altro collega o ad altro professionista.
Articolo 38
Nell'esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.

Capo IV - Rapporti con la società

Articolo 39
Lo psicologo presenta in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconosce quale suo dovere quello di aiutare il pubblico e gli utenti a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.
Articolo 40
Indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di pubblicità, lo psicologo non assume pubblicamente comportamenti scorretti finalizzati al procacciamento della clientela. In ogni caso, può essere svolta pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dai competenti Consigli dell'Ordine. Il messaggio deve essere formulato nel rispetto del decoro professionale, conformemente ai criteri di serietà scientifica ed alla tutela dell'immagine della professione. La mancanza di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicizzato costituisce violazione deontologica.

Capo V - Norme di attuazione

Articolo 41
È istituito presso la "Commissione Deontologia" dell'Ordine degli psicologi l'Osservatorio permanente sul Codice Deontologico", regolamentato con apposito atto del Consiglio Nazionale dell'Ordine, con il compito di raccogliere la giurisprudenza in materia deontologica dei Consigli regionali e provinciali dell'Ordine e ogni altro materiale utile a formulare eventuali proposte della Commissione al Consiglio Nazionale dell'Ordine, anche ai fini della revisione periodica del Codice Deontologico. Tale revisione si atterrà alle modalità previste dalla Legge 18 febbraio 1989, n. 56.
Articolo 42
Il presente Codice deontologico entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla proclamazione dei risultati del referendum di approvazione, ai sensi dell'art. 28, comma 6, lettera c) della Legge 18 febbraio 1989, n. 56