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mercoledì 29 maggio 2013

La depressione post partum

Un fenomeno sottovalutato ma molto diffuso


Nella definizione di depressione post partum sono erroneamente comprese tre sindromi che presentano evidenti differenze tra loro.

Il fenomeno più frequente è un’alterazione del tono dell’umore che viene definita come baby blues o maternity blues. Emerge solitamente nella prima settimana dopo il parto, ha una durata variabile tra le poche ore ed alcuni giorni e la sua incidenza oscilla tra il 39% e l’85% (O’Hara et al.1990). I sintomi fisici si esprimono in disturbi del sonno, mancanza di energie, inappetenza, stanchezza eccessiva; dal punto di vista psicologico si evidenziano uno stato mentale caratterizzato da ansietà, paura e preoccupazione, confusione, nervosismo e tristezza. Questi sintomi inducono facilmente pianto, iperattività, irritabilità, ipersensibilità e scarsa interazione con il bambino. L’esperienza del “baby blues”, per il suo carattere transitorio e per la sua scarsa entità della sintomatologia, non implica conseguenze a lungo termine (O’Hara, 1987).

Una seconda forma di disturbo è la depressione post partum, che emerge a distanza di alcuni giorni, settimane o mesi dal parto, ha una durata che può raggiungere l’anno e ha un’incidenza tra il 10% e il 28% (Rossi et al.,1992). I disturbi fisici sono più gravi e implicano frequenti mal di testa, intorpidimento, palpitazioni, iperventilazione, mentre quelli psicologici comportano la sensazione di vuoto, la percezione di essere inadeguate, di non poter far fronte alle situazioni, una preoccupazione eccessiva per la salute del bambino, pessimismo, perdita di interessi personali, pensieri bizzarri o di suicidio. In alcuni casi possono comparire anche attacchi di panico, fobie, allucinazioni, incubi, paure ossessive.

Un esito ancor più negativo è la psicosi puerperale, con una incidenza di 1 su 1000; assume frequentemente caratteristiche cicliche, depressive e maniacali. L’insorgenza di questo disturbo è grave e rapido, solitamente entro i primi 3 mesi dal parto. I sintomi fisici comportano il rifiuto del cibo, depressione a cui seguono comportamenti maniacali caratterizzati da un’energia eccessiva e frenetica. Lo stato mentale è caratterizzato da estrema confusione, perdita di memoria, incoerenza, allucinazioni e bizzarrie. Questo insieme di sintomi induce reazioni comportamentali di grande circospezione, irrazionalità e di preoccupazioni per dettagli insignificanti (Kruckman et al.,1998).

Condizioni predittive
Data la notevole incidenza della sindrome, è utile evidenziare alcune condizioni predittive che possono comparire già durante la gravidanza:
  • episodi ricorrenti di ansia e depressione durante la gravidanza
  • eventuali episodi depressivi precedenti la gravidanza
  • conflitti coniugali
  • eventi traumatici nell’ultimo anno, per esempio lutti importanti
  • giovane età
  • tendenza all’isolamento sociale e incapacità a chiedere aiuto
  • tendenza alla negazione della gravidanza, ovvero tendenza a negare gli inevitabili cambiamenti e le limitazioni e si comportano come se tutto fosse simile a prima della gravidanza.

Cosa fare
Nel caso di forme molto gravi, è necessario un intervento terapeutico specialistico, che può consistere anche in una psicoterapia integrata con l’utilizzo di farmaci. A volte possono essere utili gruppi di auto-aiuto. Importante è anche il sostegno che può provenire dalla cerchia di persone che vivono attorno alla neo mamma, rendendo possibile l’esternalizzazione di sentimenti o pensieri anche inaccettabili per lei, aiutandola a diminuire i possibili sensi di colpa, a comprendere che diventare madre può richiedere tempo e che è possibile sbagliare, sostenendola nella sua funzione di caregiver, senza sostituirsi a lei nella cura del bambino.


Dott.ssa Marianna Ge


Rif. Nicola Lalli, Psicologia contemporanea, nov.-dic. 2008

domenica 5 maggio 2013

E TU. . .CHE GENITORE SEI?

Lo stile educativo che i genitori adottano nei confronti dei figli influisce fortemente sul loro sviluppo sociale, emotivo e intellettivo. Molto poi contano anche le caratteristiche comportamentali della prole. Anche i figli hanno le loro reazioni, i loro temperamenti, i loro atteggiamenti che portano il figlio a sottrarsi ai genitori o spingono questi ultimi a modificare il loro stile educativo.
Quali sono i principali stili educativi?
STILE AUTORITARIO: si tratta di genitori severi che stabiliscono regole senza dare troppe spiegazioni e quasi mai tengono presente le opinioni dei figli. Nella gestione della loro genitorialità sono molto  numerosi i “no” che vengono dispensati  e spesso le punizioni sono severe. Parecchie volte questi genitori usano castighi, intimidazioni come strumenti di controllo e la disobbedienza viene vista come una minaccia all’autorità. Sono genitori che si aspettano che i figli obbediscano senza discutere minimamente con loro. I figli crescono così in un clima abbastanza freddo e possono sviluppare due modalità comportamentali: ribellione oppure adeguamento diligente alle aspettative di mamma e papà. 
STILE PERMISSIVO: si tratta di genitori che non danno particolare importanza alle regole, cedono facilmente alle richieste dei figli mancando spesso nella loro posizione di guida. Quando cercano di farlo appaiono troppo deboli per farsi ascoltare. I figli quindi crescono senza un orientamento o una guida forte e ciò li spinge a realizzare all’esterno quel bisogno di coerenza che in famiglia non trovano. Il rischio maggiore dello stile permissivo è quello di sfociare nella trascuratezza.
STILE IPERPROTETTIVO: si tratta di genitori coerenti, affettivamente vicini ai loro figli, però particolarmente ansiosi che possono col tempo trasmettere insicurezza. Questi genitori sono consapevoli dell’importanza dell’educazione e sono capaci di stabilire dei legami forti , ma allo stesso tempo sono preoccupati che potrebbe accadere qualcosa di brutto ai loro figli in loro assenza. I figli, in questo modo,  non imparano a orientarsi da soli, a organizzarsi, a crescere sicuri e fiduciosi perché non è mai stata concessa loro quell’autonomia necessaria per imparare a fare da soli. Anche qui i ragazzi possono prendere due strade differenti: ribellarsi oppure adeguarsi formando con il genitore un rapporto simbiotico caricandosi delle loro ansie e delle loro aspettative. Nel tempo questa iperprotezione può creare quello che la Olievirio Ferraris chiama “dittatore domestico”, cioè figli che abitutati a essere seguiti, serviti e riveriti pretendono che il genitore soddisfi ogni loro capriccio. 
STILE AUTOREVOLE: si tratta di genitori che richiedono rispetto e stabiliscono regole adatte all’età, alle caratteristiche dei figli e quindi rispettabili. Questi genitori non sono invadenti e hanno bene in mente i bisogni e i desideri dei loro figli che si educano all’autonomia e all’imparare dai propri errori. I bambini di genitori autorevoli risultano in media i più capaci: hanno più fiducia in se stessi, sono socialmente responsabili, contenti, capaci di auto controllarsi, capaci di stare in mezzo agli altri e cooperare.
Per concludere è utile dire che, come sempre quando si cerca di categorizzare, vengono estremizzate le caratteristiche. Alcuni genitori, quindi, potrebbero ritrovarsi in più categorie perché la realtà non è solo fatta di bianchi e di neri…ma c’è tanto colore in mezzo. 

E tu…che genitore senti di essere?
Quali sono le maggiori difficoltà che incontri quotidianamente in questa difficile missione genitoriale?
Dott.ssa Laura Prada
BIBLIOGRAFIA:
·          Baumrind D. “Current pattern of parental authority”
·          Montessori M. “La scoperta del bambino”
·          Oliverio Ferraris A. “La forza d’animo”
·          Oliverio Ferraris A.; Togni M. “Genitori e figli: una questione di stile”