Un blog di psicologhe, di colleghe in continua formazione, tutte con esperienze professionali diverse unite dalla passione per lo stesso lavoro.



Con questo blog vorremmo informare e diffondere contenuti di carattere psicologico che possano essere spunto di confronto e condivisione di esperienze e opinioni, pertanto siete tutti invitati ad offrire il vostro prezioso contributo attraverso commenti e suggerimenti.



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sabato 30 novembre 2013

Genitori 2.0 a Monza: come comunicano i figli oggi attraverso i social network.






Una serata-confronto con genitori di ragazzi della scuola secondaria e le modalità comunicative.

Facebook, WhatsApp, mail, Ask, ... come comunicano i ragazzi oggi?
Genitori e adulti: come comunicare con loro?

I pregi e le positività di internet, una rete che connette e unisce, 
una realtà quotidiana che permette di condividere le nostre esperienze. 


dott.ssa Laura Tresoldi 

lunedì 18 novembre 2013

MERCOLEDI 20 NOVEMBRE: GIORNATA INTERNAZIONALE PER I DIRITTI dell 'INFANZIA e dell'ADOLESCENZA




In occasione del prossimo 20 novembre, Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e l’UNICEF Italia saranno fianco a fianco per celebrare il 24° anniversario della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, dedicato all’uguaglianza nei diritti di tutti i bambini e in particolare alla non discriminazione dei gruppi più vulnerabili, come i minorenni di origine straniera
(Visita la pagina speciale su UNICEF e ANCI)

Il tema della tutela dei diritti dei minorenni di origine straniera e la semplificazione delle procedure per il conseguimento della cittadinanza italiana da parte dei minorenni figli di genitori stranieri che vivono sul territorio italiano sono temi su cui l’ANCI è impegnata da tempo e sono  tra gli obiettivi che l’UNICEF Italia persegue sin dal 2010 con la campagna “IO come TU. Mai nemici per la pelle”.  

In occasione del 20 novembre, l’UNICEF Italia e l’ANCI coinvolgeranno il maggior numero possibile di Comuni su due azioni: 
  • l'approvazione di una delibera comunale che disponga il conferimento della cittadinanza onoraria ai minorenni di origine straniera che sono nati e/o vivono sul territorio comunale nell’ambito della Campagna dell’UNICEF Italia “IO come TU”
  • l'adesione alla catena umana organizzata dai Comitati regionali e provinciali dell’UNICEF, che il 20 novembre unirà simbolicamente da Nord a Sud tutta l’Italia intorno al tema del diritto alla cittadinanza.
Insieme per il diritto alla cittadinanza
La catena umana, formata da bambini e ragazzi, educatori, rappresentanti delle istituzioni e cittadini, si farà portavoce in molte città dei messaggi della campagna "IO come TU": non discriminazione, pari opportunità, eguaglianza dei diritti di tutti i minorenni, tutela del superiore interesse del minore, ascolto e partecipazione dei bambini e dei ragazzi.



















Sono oltre 190 i Paesi nel mondo che hanno ratificato la Convenzione. 
In Italia la sua ratifica è avvenuta nel 1991. 
Nonostante vi sia un generale consenso sull'importanza dei diritti dei più piccoli. Ancora oggi molti bambini e adolescenti, anche nel nostro Paese, sono vittime di violenze o abusi, discriminati, emarginati o vivono in condizioni di grave trascuratezza.





Cerca le iniziative del tuo comune o della tua provincia e partecipa agli eventi in celebrazione della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia.


dott.ssa Laura Tresoldi



venerdì 18 ottobre 2013

La comunicazione tra Genitori e Figli non è sempre ... chiara!

 

Utilizziamo una simpatica illustrazione tratta da 

"Vainui de Castelbajac"

 (http://www.vainuidecastelbajac.com/) 

per rappresentare come può essere criptica la comunicazione tra Genitori e Figli.

Cosa ne pensate? 



Ho l'impressione che stia cercando di dirci qualcosa...




dott.ssa Laura Tresoldi


venerdì 4 ottobre 2013

UN'INDAGINE SU «RAGAZZI E SOCIALITÀ»: Avere 13 anni a Milano

Da un articolo del Corriere della Sera del 21 settembre raccogliamo i dati di una nuova ricerca sui ragazzi, PRE ADOLESCENTI in questo caso, che mostrano alcune caratteristiche preoccupanti ultimamente in "voga".

( http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/13_settembre_21/rubrica-genitori-figli-adolescenti-trasgressioni-vino-alcol-tredicenni-2223219823099.shtml)

Riportiamo alcune parti dell'articolo dove troviamo i dati e i commenti di esperti riguardanti la vita sociale dei ragazzi di oggi in una città come Milano. 
Si evince la tendenza sempre più spiccata e generalizzata di un numero alto di ragazzi di 13 anni ed il consumo di alcol, dell'utilizzo sfrenato e senza controllo dei social network e dei suoi pericoli (vedi il nostro articolo sui pericoli della rete) e dei comportamenti a rischio messi in atto.

                                                Per quanto riguarda il consumo di bevande alcoliche: 
"... Ragazzi con il bicchiere di vino o la lattina di birra in mano (non si sa bene quando e dove, ma è una certezza), lo smartphone sempre acceso (e il vizio di concedere l'amicizia su Facebook anche a sconosciuti) e una certa propensione alla trasgressione (fa «figo» e tanto la sfanghi sempre). Generazione 13/14 anni, l'età in cui si frequenta la terza media: li riconoscete? A raccontarli con lucidità l'indagine annuale, fresca di pubblicazione, della Società Italiana di Medicina dell'Adolescenza e dell'Associazione Laboratorio Adolescenza. L'équipe degli psicologi degli enti ha seguito i ragazzini per mesi... 
... Milano, città-laboratorio di studio delle nuove tendenze: nel capoluogo lombardo i questionari sono stati 700.  ..." 
" ... Dall'indagine emerge un ultimo dato inquietante: l'abuso di alcol. In città beve vino il 48,4%, birra il 58% e bevande a basso contenuto alcolico il 52,6% (i dati nazionali sono allineati). Anche in questo caso chi lavora in questo campo non si stupisce. «L'età del primo bicchiere continua a calare: abbiamo superato i paesi anglosassoni e deteniamo oramai il primato europeo», rivela Raffaella Rossin, presidente Sia Lombardia, Società Italiana Alcologia. «È vera emergenza», dice, «da tempo sottolineiamo l'urgenza di un lavoro coordinato fra enti pubblici, privato sociale, scuola e medicina di base. Non è allarmismo. I genitori ignorano i danni irreparabili che una sola unità alcolica (significa un bicchiere) può determinare prima dei sedici anni».

Si riprende con il tema dell'utilizzo di internet e del libero accesso a qualsiasi tipo di informazione e persone sul web questa volta attraverso lo smartphone.
"... La vera novità è invece il debutto dello smartphone,non più solo oggetto cult, ma anche strumento privilegiato per entrare in rete (a Milano: dal pc di casa il 49%, da cellulare 57,1%). «Dato preoccupante», sottolinea Mariagrazia Zanaboni, presidente de L'Amico Charly, «il ragazzino connesso ovunque sfugge totalmente al già scarso controllo dei genitori. A spaventare noi educatori», aggiunge, «è anche l'uso troppo disinvolto dei social network. Il rischio, attenzione, non è solo il pedofilo, ma anche il coetaneo sconosciuto nelle cui mani metti la tua identità.  Il cyberbullismo è spietato». Inutile gridare al lupo: un ragazzino di 13 anni non può acquistare da solo un cellulare di ultima generazione. 

La voglia di trasgressione infine che caratterizza l'ETA' DI MEZZO (vedi articolo) mostra quanto questi ragazzi vogliano sentirsi più grandi e si mettano continuamente alla prova attivando comportamenti rischiosi e a volte delinquenziali.
"... Che effetto le fa il dato che a Milano il 74,7% dei teenager non paga il biglietto sui mezzi pubblici? «È sorprendente ma non ho dubbi: rispecchia in pieno il desiderio di trasgressione tipico dell'età».


Quali sono allora gli interventi possibili e da mettere in atto per invertire questa tendenza verso le bevande alcoliche? Chi deve occuparsene? Di chi è  responsabilità?

Come aiutare i ragazzi a preferire la comunicazione vis a vis con gli amici e non quella mediata dal pc o dallo smartphone, riscoprendo l'uscire insieme, l'importanza del contatto visivo e di tutte le diverse sfumature che arricchiscono questa modalità relazionale?

Come favorire in quanto genitori, insegnati, educatori, un clima di fiducia e di confronto sulle tematiche che stanno a cuore ai ragazzi per poterli accogliere e non sentirli scappare da noi?


dott.ssa Laura Tresoldi








giovedì 26 settembre 2013

INCONTRI FORMATIVI DI DIFESA PERSONALE RIVOLTI ALLE DONNE - PROVINCIA DI LECCO

Per il secondo anno consecutivo la Provincia di Lecco (Assessorati ai Servizi alla Persona e alla Sicurezza) e il Comune di Barzanò (Assessorato Servizi alla Persona e Politiche Sociali) sostengono un progetto formativo di difesa personale rivolto alle donne.


Gli incontri si terranno ogni mercoledì dal 2 al 30 ottobre dalle 20.00 alle 21.30, presso la Scuola Primaria Ada Negri di Barzanò.


La realizzazione del corso a partecipazione gratuita è stata possibile grazie alle professionalità messe a disposizione dalla Polizia Provinciale di Lecco e dallo Sportello antistalking dell'ospedale Manzoni di Lecco e alla struttura offerta dal Comune.


Il programma delle lezioni prevede l'illustrazione dei metodi di autodifesa con esercizi pratici, tenuti da un agente del Corpo di Polizia Provinciale con la qualifica di Istruttore riconosciuto di Krav Maga, l'approfondimento di aspetti legali alla legittima difesa e di aspetti psicologici correlati alla paura e alla minaccia, grazie all'intervento in aula di un avvocato e di un team di psicologi dello sportello antistalking dell'ospedale di Lecco.


Per ulteriori informazioni è possibile rivolgersi al Comune di Barzanò (Sportello del cittadino) il lunedì dalle 17.00 alle 18.30 oppure telefonare ai numeri 039-9213026 (ufficio anagrafe Comune di Barzanò) o 0341-295254 (Comando di Polizia Provinciale di Lecco).


Il modulo di iscrizione è scaricabile dai siti www.provincia.lecco.it e www.comune.barzano.lc.it.
 
(Comunicato stampa, Provincia di Lecco)

mercoledì 11 settembre 2013

ESISTI SE APPARI. O come direbbe, forse simpaticamente, Cartesio: appari dunque sei, dunque esisti

 
 


Connettere la propria esistenza  ai vari social network: facebook, youTube, Twitter – solo per citarne qualcuno – è diventata una routine per la maggior parte delle persone, se poi si possiede anche uno smartphone, il rischio che questa smania di apparire esistenti porti alla tecno-dipendenza è altissimo. Questo nuovo modo di relazionarsi on line agli altri, di comunicare una potenziale e spesso illimitata disponibilità ad esserci ovunque se da un lato consente di ridurre la distanza con le persone a noi care e sedare il senso di solitudine, forse alla base di questa insaziabile sete di interazione e di tenersi informati, dall’altro comporta un pericoloso, quanto paradossale, risvolto della medaglia: relegare sullo sfondo, quasi fossero “di serie B”, le relazioni face to face. Lo sa bene Alex Haigh, un  ragazzo di  Melbourne che, infastidito dallo smodato uso del cellulare da parte dei suoi coetanei ha deciso di prendere posizione lanciando nel 2012, sul suo sito web, una campagna anti Phubbing. Questo termine, formato dalla contrazione tra phone (telefono) + snubbing (snobbare)  descrive l’atteggiamento di chi, pur in compagnia di qualcuno, lo ignora a favore del proprio dispositivo mobile (smartphone, tablet).  Un fenomeno quello dello stare “da soli insieme”  sempre più presente anche in famiglia,  come osserva,  la ricercatrice di scienze sociali, Sherry Turkle nel suo libro “Alone together” in cui scrive: “…oggi possiamo chiamare ‘famiglie post-familiari’ quelle i cui membri stanno ‘da soli insieme’, ognuno nella sua stanza, con il proprio computer o dispositivo mobile collegato in rete…”.
Quanto tempo ci assorbe questa attività di controllo dei social network? quanto ne veniamo fagocitati ma soprattutto quanto ne abbiamo consapevolezza? Ogni evento, pensiero, stato emotivo, esperienza, luogo visitato viene postato, condiviso, commentato, apprezzato o ignorato, whatsappato, twittato e l’istantaneità degli scambi comunicativi, unitamente al desiderio di onniscienza, inducono ad una iper connessione alla rete con un conseguente incremento di isolamento dal reale intorno sociale.  Impossibile pensarsi senza il proprio dispositivo mobile, ci si sentirebbe fortemente a disagio, un “pesce fuor d’acqua” – specie se in compagnia di chi lo possiede – se non addirittura intimorito. E’ stato di recente coniato il termine “nomofobia” – formato col suffisso –fobia e il prefisso inglese, abbreviato, di no-mobile – proprio per nominare la paura che invade chi, per assenza di segnale o per altre cause, teme di rimanere sconnesso dal contatto con la rete di telefonia mobile. Una condizione di isolamento e alienazione, benché non di paura, è chiaramente identificabile nel volto della protagonista di un filmato, dal titolo “I forgot my phone” [trad. ho dimenticato il cellulare] (di cui sotto), pubblicato il 22 agosto su You Tube. Per inciso, anche la regista del video sembra non contemplare l’eventualità che si possa non avere uno smartphone! Chissà quante volte sarà capitato, anche a chi legge, di subire questa spiacevole, quanto imbarazzante, sensazione di estraneità in compagnia di persone che paiono in “temporaneo stato di off” rispetto alla conversazione faccia a faccia,  in quanto impegnate,  ognuna col proprio cellulare, a chattare con altri virtuali. Difficile pensare di separarsene anche mentre si cammina o si attraversa la strada tanto che a New York si è pensato di segnalare ai pedoni la pericolosità di questa pratica con cartelli stradali appositi in cui vi è scritto: “Pay attention while walking. Your facebook status update can wait” [trad., Fate attenzione mentre camminate. Il vostro aggiornamento di stato su facebook può attendere].  Lo smartphone è ormai diventato “l’amico tascabile”onnipresente sia quando ci troviamo soli che quando siamo in compagnia; ci consente di mediare l’interazione con gli altri reali e funge da possibile “via di fuga” quando si desidera evitare l’imbarazzo di una pausa, di un silenzio durante una conversazione  o quando si è poco interessati al proprio interlocutore e ci si annoia, pur rischiando di apparire scortesi nei riguardi di chi ci siede accanto. Ma al di là dell’uso fuor di galateo che se ne può fare è il tempo eccessivo che si “investe” in tale attività a dare conto del livello della sua tossicità: tanto più si è persuasi di non potersene staccare, tanto meno si perverrà ad una sua gestione consapevole. La capacità di autoregolarsi negli eccessi implica uno sforzo di volontà, delle azioni tese verso ciò che merita valore come la cura di sé che non può prescindere dalla cura della qualità delle proprie relazioni significative: la nostra più grande risorsa! Prendiamone atto pur continuando a servirci dei vantaggi che la tecnologia ci offre.
Auguro a tutti una equilibrata e consapevole navigazione!
Dott.ssa Moira Melis

martedì 10 settembre 2013


No al silenzio! Basta violenza sulle donne

Mostre/ incontri/ letture/ performance e interventi musicali


La campagna

Il Sistema Bibliotecario Urbano di Milano, in collaborazione con l’editore OSA Books & Media, presenta una campagna di sensibilizzazione e di informazione sul tema della violenza sulle donne.

L’iniziativa prende il titolo dalla mostra No al Silenzio! Basta violenza sulla donne del satirist Furio Sandrini, alias Corvo Rosso, ideatore, curatore e promotore dell’iniziativa. La mostra fa da cornice al ricco programma in calendario che, per la prima volta in Italia e probabilmente nel mondo, si presenta come una manifestazione diffusa sul territorio di un’intera città. Per oltre un mese, dal 14 settembre al 27 ottobre 2013, Milano sarà infatti teatro di una molteplicità di eventi sul tema: letture, presentazioni di libri e incontri con gli autori, perfomance, musica, mostre e spettacoli, ma anche occasioni per conoscere il lavoro di tutti i soggetti impegnati nella prevenzione e nel contrasto alla violenza sulle donne.

Oltre il 27 ottobre sono previste altre iniziative che daranno continuità alla campagna No al Silenzio! Basta violenza sulla donne fino al 25 novembre 2013, giorno in cui in tutto il mondo si commemora la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, secondo la risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 17 dicembre 1999.

Hanno aderito alla manifestazione l’Assessorato alle Politiche Sociali e Cultura della Salute, l’Assessorato alla Sicurezza e Coesione Sociale, la Delegata del Sindaco alle Pari Opportunità oltre a editori, librerie, ospedali, università e associazioni impegnate nel campo.

 

Gli eventi

> 1 mostra di vignette satiriche No al silenzio! Basta violenza sulle donne di Corvo Rosso. Una selezione di vignette è simultaneamente esposta nelle 25 biblioteche del sistema urbano e in tutte le librerie indipendenti di Milano e farà da cornice contestuale al fitto calendario di eventi proposti. La mostra si sposterà poi in altri luoghi metropolitani, quali ospedali e università.

> 36 presentazioni di libri e di studi di recente pubblicazione sul tema della violenza di genere, a cura degli autori, accompagnati da reading, video, interventi musicali e performance a sorpresa.

> 8 dibattiti/ conferenze

> 10 recital/ performance

> 4 mostre collaterali

> 20 incontri con le Associazioni e i Centri che nel territorio nazionale si occupano attivamente del fenomeno della violenza sulle donne. Molte di queste realtà fanno parte della Rete cittadina antiviolenza.

> 25 angoli informativi allestiti in tutte le biblioteche per favorire la documentazione e l’informazione. Oltre a ciò le biblioteche mettono a disposizione selezioni bibliografiche di testi sull’argomento.

> 1 festa finale aperta a tutti, con reading, spettacoli e musica e con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti nella campagna. Domenica 27 ottobre dalle 18.00 alle 21.00 presso la Palazzina Liberty.

Questi gli eventi che si svolgono nelle biblioteche del sistema, secondo il programma che segue. Altri ancora sono ospitati nelle librerie (Rizzoli e Librerie Indipendenti di Milano), negli ospedali  e nelle università.

Per il programma completo > www.corvorosso.it

Furio Sandrini, ideatore, curatore e promotore dell’iniziativa, sarà presente come moderatore e animatore a molti eventi in programma. Così faranno Matteo Albertini e Giovanna Daniele, della redazione di Corvo Rosso Magazine on line.

lunedì 9 settembre 2013

Un racconto a fumetti per prevenire il disagio giovanile

In tutte le scuole superiori di Milano verrà distribuito un fumetto contro il disagio giovanile e a favore della prevenzione psicologica. Ma cosa fa lo psicologo nella scuola? L'obiettivo generale è la promozione della salute e del benessere psicofisico. La presenza di un esperto a scuola offre la possibilità di incentivare i ragazzi e gli operatori a chiedere aiuto senza vergogna o paura, all'interno di uno spazio protetto e facilmente accessibile, fornendo un primo spazio di ascolto e una risposta al disagio espresso. http://www.opl.it/media/news/fumetto_scolastia_LA%20REPUBBLICA.pdf

sabato 7 settembre 2013

"En e Xanax " ... quando ci si identifica con il farmaco che si assume


"En e Xanax" 
non è un inno agli psicofarmaci come si potrebbe erroneamente pensare leggendo il titolo!

E' il nuovo singolo di Samuele Bersani che racconta dell' incontro e della storia d'amore di due persone che non hanno paura di ammettere e raccontare le loro paure 
e della decisione di affrontarle insieme.   

En e Xanax si identificano con il farmaco con il quale combattono paure ed ansie... Fino alla rivoluzione ... Possibile ... 

sabato 31 agosto 2013

STORIE FACILI PER COMUNICAZIONI DIFFICILI, quando parlare ai bambini diventa difficile

Perché il linguaggio che utilizziamo con gli adulti, con i bambini non va bene?
Se pensiamo alla domanda spesso posta dagli adulti ai bambini che manifestano sofferenza: “Cosa c’è che non va?”, notiamo che di solito i bambini non rispondono o rispondono frettolosi: “Non c’è niente che non va” o “Sto bene”; dichiarazioni che spesso chiudono la porta alla possibilità di aiutarli. Un bambino non può rispondere con lo stesso linguaggio con il quale gli è stata rivolta la domanda, perché il suo linguaggio naturale è fatto di immagini e di metafore come quelle delle storie e dei sogni ed è lontano dal linguaggio del pensiero degli adulti, le cui parole risultano per lui aride, riduttive, troppo cognitive per affascinarlo.

Dove si trova il linguaggio adatto ai bambini?
Nelle storie, nelle filastrocche, nelle immagini, nelle metafore e in tutto ciò che anima una comunicazione agita nel regno dell’immaginazione. Si tratta di un biglietto di ingresso per il mondo interiore del bambino che offre l’occasione per parlare di emozioni e sentimenti a una distanza di sicurezza che permette di parlare di sé tramite attori e protagonisti che non sono direttamente il bambino, ma che magari gli somigliano. E’ come se noi gli dicessimo: “guardiamo le vite di questi personaggi senza guardare direttamente te” e questo diminuisce l’ansia. Accade, così, che leggendo insieme una storia si sperimenta una sintonizzazione emotiva tale per cui la relazione diventa la cassa di risonanza del racconto, il luogo in cui genitori e figli, terapeuti e bambini possono disegnare gli intrecci tra le vicende narrate e quelle umane condividendo esperienze comprensibili ad entrambi.

Quando la metafora linguistica diventa terapeutica?
Se la forza suggestiva della metafora consente di descrivere ciò che a parole non sapremmo esprimere, la sua reinterpretazione in chiave simbolica permette di stabilire una connessione con le esperienze interne. La familiarità dell’ esperienza evocata dalla metafora letteraria offre, così, l’occasione di entrare nelle emozioni e di condividerle con gli altri.

Un esempio di metafora sul legame madre/bambino.

"FILI E NASTRINI
Tutte le mamme del mondo hanno i nastrini
tanti nastrini lunghi e colorati
che legano i loro cuori
a quelli dei loro neonati.
Nastrini invisibili che spesso
si allungano, si allungano, si allungano…
e poi si accorciano, si accorciano, si accorciano….
I nastrini sono resistenti
niente può tagliarli, neppure i denti.
I nastrini legano mamme e bambini
e tengono insieme i loro cuoricini.
Tanto li separa la distanza
ma il filo unisce questa lontananza.
Se la mamma vola in Cina,
è al lavoro, o va in cucina,
il tamburo del cuore batte forte forte
un dolore che ci tocca in sorte.
Allora in una lingua misteriosa
mamma e bambino si parlano:
io ora non ti vedo, però una cosa c’è
che tu sei sempre dentro di me."

Nel testo, le metafore si riferiscono agli assunti psicologici riguardanti la permanenza dell’ oggetto e l’attivazione emotiva/arousal. Il primo è rappresentato dai nastrini/fili colorati che uniscono i cuori delle mamme a quelli dei loro bambini, da riferire alla conservazione del legame anche in assenza della figura di attaccamento. Il bambino ha l’età per comprendere lo svolgersi degli eventi e quindi di prevedere il ritorno della madre dopo la separazione. L’attivazione emotiva del bambino e della mamma al momento di lasciarsi è resa invece con la metafora del tamburo del cuore che batte.

Quando è utile una metafora sul legame?
Nelle situazioni in cui accedere a un pensiero di separazione può essere inizialmente difficile da affrontare non solo per il bambino piccolo ma anche per la madre: il rientro al lavoro dopo il parto e lo svezzamento, l’ingresso alla scuola dell’infanzia, oppure in concomitanza di eventi particolari come il cambiamento di abitazione o di scuola, la nascita di un fratellino, gravi malattie, lutti, conflitti tra genitori, ovvero quando l’ansia di separazione e le fantasie di abbandono si accentuano.

Gloria Invernizzi

Riferimenti bibliografici:
Bruno Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, 1997, Milano, Feltrinelli editore
Margot Sunderland, Raccontare storie aiuta i bambini, 2009, Erickson
Emanuela Nava, Mamma Nastrino, papà Luna, Il battello a vapore

martedì 20 agosto 2013

DEPRESSIONE E RAPPORTO DI COPPIA

L’argomento si riferisce all’esplorazione dei sintomi depressivi della persona entro l’interazione di coppia.

Stabilito l’assunto secondo il quale l’individuo è parte di una varietà di contesti, anche i sintomi depressivi vengono posti in relazione a tali contesti, vale a dire le relazioni familiari, compresa la famiglia di origine, il contesto di lavoro, sociale e culturale.
Le relazioni intime sono viste sia come in grado di influenzare sia come influenzate a loro volta dal paziente e dai sintomi stessi. Le risposte che gli altri membri della famiglia forniscono all’individuo, possono contribuire al mantenimento di tali sintomi. Avviene così che il partner reagisca ai sintomi depressivi inducendo nella persona risposte in grado di generare un meccanismo di retroazione con ricadute sia sui sintomi sia sui comportamenti dei conviventi.
Altri fattori intervenienti sono le caratteristiche individuali, psicologiche e fisiche, e le esperienze personali, presenti e del passato. Si assume però che il mantenimento del disturbo dipenda in larga misura dai contesti in cui il paziente è inserito. Pertanto, lavorare su questi ambiti, può significare migliorare la sintomatologia depressiva.

Da un punto di vista relazionale, la depressione prende origine dalle esperienze che vedono l’avvicendarsi di eventi normativi, quali matrimonio e nascite, e di eventi paranormativi, per esempio, malattie gravi e lutti, che richiedono all’individuo di adattarsi alle situazioni nuove che si trova a vivere.
Fattori intrapsichici e interpersonali determinano la capacità di adattarsi più o meno bene alle circostanze. Coloro che non riescono in tale compito sono maggiormente esposti al rischio di sviluppare sintomi depressivi.
In generale, si può parlare di significati relazionali dei fenomeni depressivi, dentro la coppia, a vari livelli: di comunicazione, quando il messaggio veicolato funge da regolatore della relazione, da qui la possibile richiesta di un maggior coinvolgimento, protezione o controllo sul partner; di metafore di eventi famigliari, quali il tener in vita la memoria di un membro che è deceduto; di mantenimento del sistema allo scopo di impedire al partner di allontanarsi o ai figli di svincolarsi, di conservazione di una posizione all’interno del sistema grazie al mantenimento di pattern relazionali esistenti.
Inoltre, fattori sociali e culturali che contribuiscono alla depressione nel senso di mantenerla o di aggravarne la sintomatologia possono essere ascrivibili a problemi finanziari o legati alla casa, alla disoccupazione, all’isolamento sociale, alla discriminazione.

Le risposte dei partner al verificarsi della depressione nel coniuge possono essere di diverso tipo: ci sono famiglie dove i sintomi depressivi sono tollerati e altre che diventano molto critiche nei confronti dei comportamenti esibiti dalla persona.
Tentativi di distogliere il coniuge dai sintomi invitandolo a vedere principalmente gli aspetti positivi delle situazioni, può avere come risultato quello di far sentire più solo e non compreso il paziente che inasprirà le reazioni sintomatiche dando origine a vissuti di colui che ricerca in continuazione l’attenzione dell’altro. In questo caso, la tentata soluzione ha, come conseguenza, quella di esasperare la malattia. D’altro canto, una cura eccessiva da parte del partner porta a consolidare i coniugi nei ruoli, rispettivamente, di malato e di chi si prende cura di lui, anche nel momento in cui i sintomi non sono chiaramente depressivi ma possono essere di altra natura.

In molti casi, la consultazione terapeutica può rappresentare un valido aiuto alla coppia in difficoltà.
L’obiettivo è quello di ricontestualizzare i sintomi depressivi nelle relazioni di oggi e con le figure significative del passato per dare alla coppia nuove prospettive, nuove definizioni del problema e sperimentare nuove relazioni tra loro. Nel momento in cui si chiede aiuto è perché la capacità di risoluzione del problema è venuta meno. Allora, il compito del terapeuta è quello di esplorare con la coppia lo stallo cui sono giunti e il suo esprimersi nel sintomo depressivo, esplicitando altre possibili strade per la risoluzione, che tengano conto del sistema di credenze e di valori di cui la coppia è portatrice. L’identificazione di competenze, individuali e di coppia, e di comportamenti che hanno un effetto positivo sulla relazione, consente ai coniugi di ritrovare le forze per arrivare a interazioni più adattive.

Bibliografia:
Elsa Jones, Eia Asen (2000), Systemic couple therapy and depression, London, Karnac Books

Summary
Depressive symptoms can be seen in interactional terms and can be connected with different contexts such as family, world of work, of society and of culture.
Close relationships are regarded both as influencing and being influenced by the person and by his/her symptoms.
The responses of family members to the person may be seen as helping to maintain or contributing to the person’s distress and symptoms.
Within a family therapy, a couple can elicit what resources they have for achieving new and different interaction patterns that will not include the depressive symptoms.

Gloria Invernizzi

mercoledì 7 agosto 2013

... l' ETA' di MEZZO ...







Stiamo parlando dei PRE ADOLESCENTI: i ragazzi e le ragazze nella fascia d'età che va dai 9 ai 12 anni circa. Quelli che non sai se chiamare bambini o ragazzi.
I PRE ADOLESCENTI rifiutano l'essere bambini e iniziano a comportarsi come adolescenti ma non lo sono ancora.
 
Chi sono allora e che caratteristiche presentano:
I pre-adolescenti sono troppo grandi per fare i giochi da bambini ma anche troppo piccoli per divertirsi come gli adolescenti; gironzolano un po’ dappertutto, comprano tutto quello che possono o spingono i genitori a farlo.
I preadolescenti sono in contina lotta con il loro desiderio di indipendenza, che si scontra però con il loro bisogno di avere ancora dei limiti imposti dai genitori.
I pre-adolescenti svolgono attività come l’andare al cinema, passare del tempo con gli amici e la famiglia, fare sport, giocare ai video giochi e guardare la tv.
I pre- adolescenti hanno diversi livelli di espressione del bisogno: alcuni bisogni sono chiaramenti verbalizzati, altri taciuti, altri ancora espressi ma in modo mascherato affidati alla capacità dei genitori di interpretarli.

Come ogni età dello sviluppo anche la PRE ADOLESCENZA ha degli specifici "compiti" da superare che riguardano lo sviluppo fisico-corporeo, cognitivo ed emotivo-affettivo.
Il cambiamento fisico è il più evidente segno del passaggio dal bambino all' adolescente che porta in tutti la paura dell'essere INADEGUATI, SBAGLIATI rispetto agli altri del gruppo dei pari. Importante è aiutare ad accettarsi e imparare a convivere con questo nuovo corpo che diventa sempre più, anche se in tempi diversi, parte del sé.
Alla maturazione corporea segue il consolidarsi delle condotte del genere di appartenenza. Il gruppo dei maschi e il gruppo delle femmine: quante volte si vedono gruppi che si siedono nettamente separati?
L'apertura del pre-ado verso nuove forme di socializzazione e l'autonomizzazione dalla propria famiglia porta ad un orientamento da " verso i genitori" a "verso i pari". Nonostante la situazione di dipendenza, idealizzazione e bisogno del genitore sia ancora forte il pre-ado esplora nuove forme di indipendenza ed autonomia esterne.
Il gruppo dei pari, un' amicizia elettiva: tutte occasioni per confrontarsi, sentirsi accettato, sviluppare la propria identità. E' nell'età di mezzo che si passa da un'identità fondata sui modelli di riferimento nel quali ci si è identificati per arrivare, non senza sforzi, ad una definizione originale di sé nella quale il pre-ado assomiglia sempre più a sé stesso.
Le capacità riflessive e di critica si sviluppano ma con tempi lunghi, per questo la figura di un genitore è ancora il riferimento necessario, anche se non sempre accettato, per le scelte del pre-ado in un gioco di vicinanza e distanza che varia con il tempo e lo sviluppo delle competenze.

Il pre-adolescente per la sua caratteristica intrinseca di essere nell'età di mezzo ha bisogno di autocomprendersi, questo sarà sicuramente più facile con l'aiuto di un genitore: l'adulto di riferimento aiuterà il pre-ado a trovare la propria identità, ad esprimerla, ad selezionare quei valori che saranno punti fermi nella sua vita.
Nonostante la sempre maggiore difficoltà nel comunicare, i preadolescenti non rifiutano l'incontro con i grandi. Soltanto lo cercano attraverso modalità diverse, rispettose della loro soggettività, dei loro silenzi e delle loro difficoltà in un momento di confusione, di crescita, dove già capire sé stessi non è semplice...figuriamoci farsi capire.


Dott.ssa Laura Tresoldi







lunedì 29 luglio 2013

Il dramma delle spose bambine: la storia di Nada


Da qualche giorno circola su YouTube il video testimonianza di Nada al-Ahdal, una bambina di 11 anni – che vive a Sana'a, la capitale dello Yemen – che con grande coraggio è riuscita a sottrarsi, fuggendo, all’ingiusta imposizione dei genitori di farle contrarre matrimonio con un ricco yemenita al quale era stata venduta, e a denunciarli. Una storia, quella di Nada che lascia sperare in un possibile lieto fine anche per tante altre sue coetanee costrette a matrimoni combinati con uomini di 40, 50 ma anche di 70 anni più grandi di loro. Dire di no e opporsi ad un tragico destino che lede i diritti dei bambini impedendo loro di crescere serenamente, giocare e dedicarsi alla propria istruzione è possibile. Nada non ha rinunciato a credere che poteva salvarsi, non si è arresa ha lottato per difendere il suo desiderio di libertà e potendo contare sull’affetto e il sostegno di una figura di riferimento importante quale lo  zio Abdel – al quale era stata affidata in tenera età – ce l’ha fatta. La generosa decisione dello zio di accogliere Nada presso la propria famiglia, prendersi cura della sua educazione e istruzione, ha permesso probabilmente alla bambina di sentirsi degna di valore, meritevole dell’affetto che le dimostravano. Tale contesto di crescita ha probabilmente saputo promuovere in lei l’acquisizione di quei comportamenti resilienti e di auto protezione che l’hanno aiutata a salvarsi: Nada si è autorizzata a ribellarsi a quel drammatico destino, cui i genitori, fattisi nuovamente vivi al compimento dei suoi 10 anni volevano costringerla, perché sapeva di non essere sola in questa sua battaglia. Consapevole del suo diritto a vivere con spensieratezza la sua età e risoluta nel non rinunciarvi, esprime con grande enfasi, nel video di denuncia, il suo pensiero su questa deplorevole pratica che disumanizza le bambine, privandole della vitale giocosità tipica della fase infantile e adolescenziale. Dichiara a gran voce che preferirebbe morire piuttosto che sposarsi così precocemente ed essere condannata a rinunciare ai suoi sogni. Con le sue parole: "Voglio realizzare i miei sogni. Mia zia è stata costretta a sposarsi a 13 anni e quando non ce l'ha fatta più, a 14 anni, si è cosparsa di benzina e si è data fuoco. Io voglio andare a scuola, avere una vita. Non voglio saperne nulla di un matrimonio ora. Voglio dire a tutti i genitori: 'Non uccidete i nostri sogni'. Se mi fossi sposata non avrei avuto nessuna vita, nessuna istruzione. Possibile che non hanno alcuna compassione? Cosa abbiamo fatto noi bambini per meritarci questo? Che fine ha fatto l'innocenza dell'infanzia?Preferirei morire piuttosto che sposarmi. Io sono riuscita a risolvere il mio problema. Ma tante bambine non ce la fanno e potrebbero morire o suicidarsi. Alcune bambine si sono gettate in mare e sono morte. Questo non è normale. I miei genitori hanno minacciato di uccidermi se fossi tornata da mio zio. Questo è criminale. Una cosa voglio dire alla mia famiglia: 'Credetemi, con voi ho chiuso. Avete distrutto i miei sogni'" In merito a questa diffusa pratica, così si esprime Razeqa Negami, un’attivista per i diritti umani: “Molta gente non sa che i matrimoni precoci causano alle ragazze seri rischi di salute e psicologici”. Anche  Malalai Nazery, che si occupa di salute e maternità presso UN Children’s Fund (Unicef) a Kabul ha dichiarato che “per una bambina, il matrimonio può essere un percorso anormale e rischioso in quanto finisce per addossarsi tutti i carichi e le responsabilità di un adulto.” Le stime più recenti dell'Unicef indicano che, esclusa la Cina, 70 milioni di donne tra i 20 e i 24 anni - circa una su tre - si sono sposate prima dei 18 anni: di queste, 23 milioni hanno contratto matrimonio addirittura prima di aver compiuto 15 anni. Al matrimonio spesso segue una gravidanza precoce che comporta gravi rischi per la salute delle giovani madri oltre che del nascituro: alla gravidanza e al parto sono legati circa 50 mila decessi ogni anno tra le ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Le ragazze che partoriscono tra i 10 e i 14 anni hanno invece una probabilità di morire durante il parto cinque volte superiore rispetto a quelle tra i 20 e i 24 anniIn India, uno dei Paesi al mondo con il maggior numero di ragazze sposate prima dei 18 anni, il tasso di matrimoni precoci è diminuito a livello federale e in quasi tutti gli Stati: dal 54% del 1992-1993 si è scesi al 43% del 2007-2008, anche se il ritmo del calo è ancora molto lento. Programmi di prevenzione dei matrimoni precoci sono stati portati avanti anche dall’Unicef da tempo impegnata nel  contrastare questo fenomeno attraverso strategie mirate alla sensibilizzazione delle comunità locali e alla promozione di un sempre maggiore accesso all’istruzione come strategia mirata alla presa di coscienza dei diritti umani fondamentali. Anju Malhotra, responsabile della sezione Genere e diritti dell'Unicef si augura che grazie all’istruzione “le ragazze possano rivendicare i propri diritti e realizzare il loro pieno potenziale.” Sebbene nel 2006 sia stato approvato il Child Marriage Prohibition Act , una legge entrata in vigore nel novembre del 2007, favorita anche dall’Unicef, che punisce con la reclusione chiunque assista o collabori alla celebrazione di matrimoni infantili e permette l'annullamento di un matrimonio avvenuto in età illegale se richiesto dal minore stesso, la situazione non pare essere cambiata. Secondo le Nazioni unite da qui al 2020 si registreranno all’anno circa 14 milioni di spose bambine. Nada ha lottato con tenacia e determinazione per riconquistare la sua libertà e i suoi diritti, animata da una spinta protettiva di sé e vitale. La minaccia di morte rivoltale dalla madre per costringerla ad accettare il matrimonio, qualora si fosse realizzata non sarebbe stato  per lei così terrificante quanto  l’alternativa di assecondarla nella  sua decisione mortifera che avrebbe comportato  l’autodistruzione, tacitamente condivisa, della propria anima.  
Dott.ssa Moira Melis
 

mercoledì 24 luglio 2013

Adulti e bambini di fronte al lutto: l'importanza di dire e di come raccontare

Accettare la morte è un apprendimento importante per tutti i bambini, sono gli adulti che spesso vacillano e temono che i figli restino traumatizzati, depressi o sfiduciati da un evento che oltre a renderci consapevoli della mortalità dell’essere umano, ci fa capire che la morte non ferma la vita.
Il lutto che ne segue è il tempo in cui trovare una nuova forma di relazione con chi non c’è più. Così scrivono Pellai e Tamborini (2011): “Il lutto nei bambini può essere pensato come una terra smossa dal terremoto, sconvolta nella forma ma pronta ad accogliere e far germogliare nuovi semi, … . Pensare al lutto come a un periodo che, oltre a molto dolore, può recare con sé anche tracce di possibili speranze è il primo difficile passo per chi vuole aiutare un bambino a ripartire.”
Si sa che la famiglia costituisce una grande sicurezza, un punto fermo cui riferirsi quando si presenta un pericolo o una difficoltà. Nel momento in cui uno dei membri è in pericolo di vita o muore, la sicurezza subisce una forte scossa che mina l’equilibrio dell’intero nucleo. La famiglia si trova di fronte a una situazione alla quale non è preparata e gli interrogativi pratici ed emozionali non trovano risposta adeguata, le risorse sembrano mancare.
           Nel parlare con i bambini, gli adulti, in difficoltà loro stessi, spesso tendono a usare un linguaggio non sempre adeguato all’età e al loro sviluppo. Da un lato, parlare con un linguaggio molto tecnico rischia di allarmare ulteriormente il bambino rispetto a una situazione già percepita come pericolosa e l’incomprensione non fa altro che aumentare nei piccoli la preoccupazione e l’ansia. Al contrario, un linguaggio troppo semplice fa arrabbiare il bambino che si sente preso in giro.  L’uso di esempi può essere di aiuto nella spiegazione, ma questi devono essere scelti sulla base delle capacità di comprensione del bambino, la cui verifica, da parte dell’adulto, permette di correggere e calibrare le comunicazioni successive.
Dire la verità al bambino non è in contraddizione con l’usare storie, immagini o elementi fantastici con cui soprattutto i più piccoli hanno molta familiarità, si tratta di linguaggi che possono fare da ponte tra la realtà e l’immaginazione.
           Comunque, il punto di partenza resta sempre la domanda che pone il bambino, la quale non esige ogni volta una risposta secca ed esaustiva. Trattandosi di domande emozionali, hanno bisogno di tempo per essere gestite e una stessa richiesta può essere riproposta  dal bambino più e più volte. Non sempre è per incomprensione del contenuto, più spesso si tratta della difficoltà di avvicinare il contenuto emozionale che, essendo  vissuto in modo così angoscioso, contribuisce a oscurare o confondere la risposta data. I bambini pongono più volte la stessa domanda anche quando sembra che abbiano compreso il senso della risposta, la ripetizione in genere li rassicura e la reiterazione della domanda e della risposta ha la stessa funzione. L’espressione del volto del bambino è uno dei segnali più chiari del vissuto emozionale relativo a quanto diciamo loro e questo ci può aiutare nella scelta degli argomenti.
           L’importante è aiutare i bambini nella ricerca di parole e azioni capaci di comunicare le emozioni che sentono dentro. Per quanto forti e distruttivi possano essere i vissuti di dolore per la perdita di una persona cara, poterli esprimere rimane un passaggio fondamentale verso la ricerca di un nuovo equilibrio, spiegare i fatti e suscitare pensieri di speranza permette loro di andare oltre la situazione in cui si trovano.
Gloria Invernizzi 


Bibliografia:
Pellai A., Tamborini B. (2011), Perché non ci sei più? Accompagnare i bambini nell’esperienza del lutto, Trento, edizioni Erickson.
Sgarro M., (2008), Il lutto in psicologia clinica e psicoterapia,Torino, Centro Scientifico Editore.

mercoledì 17 luglio 2013

IL GIOCO D'AZZARDO. Indagine Condizione Infanzia e Adolescenza.


da "Indagine Condizione Situazione Infanzia e Adolescenza":

... La crisi economica nel nostro Paese non tocca il settore del gioco d'azzardo, che risulta essere un fenomeno in crescita.
A rischio, in particolare, sono i bambini e gli adolescenti.
Dall'indagine svolta da Telefono Azzurro e Eurispes è infatti emerso che 1 bambino su 6 ha giocato a soldi, 1 su 10 nelle sale giochi, con videopoker e macchinette o online.
Negli adolescenti i dati crescono vertiginosamente: il gioco d'azzardo online resta il luogo prediletto per il 39% di loro, con una particolare preferenza per le scommesse sportive. 1 su 4, invece, gioca alle slot machine nelle sale giochi.
Ad 1 su 10 capita qualche volta o addirittura spesso di perdere tutti i soldi che ha a disposizione .
Gli adolescenti giocano in maggioranza per divertimento o per vincere soldi. Quasi uno su dieci perché attirato dalla pubblicità. 

Il gioco d'azzardo presenza numerosi rischi, tra cui quello di sviluppare dipendenze psicologiche, motivo per cui questo fenomeno richiede grande attenzione.


dott.ssa Laura Tresoldi
 

lunedì 24 giugno 2013

MAMMA E PAPA' SI SEPARANO...IMPORTANTE SPIEGARLO AI FIGLI!



 
I figli hanno bisogno di ricevere informazioni corrette e accurate per poter capire la situazione in cui sono venuti a trovarsi.
Dare questo tipo di informazioni al figlio rappresenta un compito particolarmente impegnativo per i genitori, che spesso tendono a non affrontarlo nella convinzione che “i bambini sono troppo piccoli e fragili per sopportare il peso di tali problemi” o che “ le questioni tra mamma e papà riguardano solo loro” (Anna Oliverio Ferraris, 2000). 
Studi più recenti sottolineano come circa l’80% dei figli del divorzio non riceve una preparazione adeguata alla disgregazione familiare, né viene dettagliatamente informato su ciò che sta accadendo alla sua famiglia.  I figli, in altre parole, vengono lasciati spesso soli ad affrontare uno degli eventi più stressanti che possa colpire il nucleo familiare. Senza informazioni essi non possono comprendere e, con delle mezze verità dette loro in modo veloce, iniziano facilmente a costruirsi fantasie. È possibile che un bambino non informato arrivi a pensare che la  madre lo disprezzi, che il padre non sia orgoglioso di lui, o a sentirsi inferiore perché nessuno ha ritenuto che valesse la pena dirgli la verità su quanto stava accadendo.
Non esiste un modo giusto in assoluto per dare queste informazioni, molto dipende dai rapporti instaurati all’interno del nucleo familiare prima della separazione.
Non bisogna inoltre dimenticare che nei bambini è sempre viva la paura di essere abbandonati e il divorzio rende reale questa paura.
Il timore dell’abbandono diventa particolarmente intenso se nella coppia vi è una forte conflittualità e i genitori non comunicano ai figli la loro decisione, non li rassicurano sul fatto che continueranno a vederli, non mostrano di avere il controllo della situazione. Si tratta di un timore che può ingigantirsi o affievolirsi a seconda di come i coniugi in via di separazione si comportano e comunicano con i figli, una paura che può facilmente aumentare quando i genitori passano il tempo a litigare fino alla disperazione, senza informarli di ciò che sta accadendo intorno a loro.
I figli hanno bisogno di informazioni che permettano loro di capire come stanno le cose realmente. Perché per i bambini, grandi o piccoli che siano, non essere adeguatamente seguiti e preparati agli eventi che precedono e seguono la separazione dei propri genitori, può rappresentare un rischio per la loro crescita e il loro sano e armonioso sviluppo psicologico e affettivo (Anna Oliverio Ferraris, 2001).
Dott.ssa Laura Prada