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sabato 31 agosto 2013

STORIE FACILI PER COMUNICAZIONI DIFFICILI, quando parlare ai bambini diventa difficile

Perché il linguaggio che utilizziamo con gli adulti, con i bambini non va bene?
Se pensiamo alla domanda spesso posta dagli adulti ai bambini che manifestano sofferenza: “Cosa c’è che non va?”, notiamo che di solito i bambini non rispondono o rispondono frettolosi: “Non c’è niente che non va” o “Sto bene”; dichiarazioni che spesso chiudono la porta alla possibilità di aiutarli. Un bambino non può rispondere con lo stesso linguaggio con il quale gli è stata rivolta la domanda, perché il suo linguaggio naturale è fatto di immagini e di metafore come quelle delle storie e dei sogni ed è lontano dal linguaggio del pensiero degli adulti, le cui parole risultano per lui aride, riduttive, troppo cognitive per affascinarlo.

Dove si trova il linguaggio adatto ai bambini?
Nelle storie, nelle filastrocche, nelle immagini, nelle metafore e in tutto ciò che anima una comunicazione agita nel regno dell’immaginazione. Si tratta di un biglietto di ingresso per il mondo interiore del bambino che offre l’occasione per parlare di emozioni e sentimenti a una distanza di sicurezza che permette di parlare di sé tramite attori e protagonisti che non sono direttamente il bambino, ma che magari gli somigliano. E’ come se noi gli dicessimo: “guardiamo le vite di questi personaggi senza guardare direttamente te” e questo diminuisce l’ansia. Accade, così, che leggendo insieme una storia si sperimenta una sintonizzazione emotiva tale per cui la relazione diventa la cassa di risonanza del racconto, il luogo in cui genitori e figli, terapeuti e bambini possono disegnare gli intrecci tra le vicende narrate e quelle umane condividendo esperienze comprensibili ad entrambi.

Quando la metafora linguistica diventa terapeutica?
Se la forza suggestiva della metafora consente di descrivere ciò che a parole non sapremmo esprimere, la sua reinterpretazione in chiave simbolica permette di stabilire una connessione con le esperienze interne. La familiarità dell’ esperienza evocata dalla metafora letteraria offre, così, l’occasione di entrare nelle emozioni e di condividerle con gli altri.

Un esempio di metafora sul legame madre/bambino.

"FILI E NASTRINI
Tutte le mamme del mondo hanno i nastrini
tanti nastrini lunghi e colorati
che legano i loro cuori
a quelli dei loro neonati.
Nastrini invisibili che spesso
si allungano, si allungano, si allungano…
e poi si accorciano, si accorciano, si accorciano….
I nastrini sono resistenti
niente può tagliarli, neppure i denti.
I nastrini legano mamme e bambini
e tengono insieme i loro cuoricini.
Tanto li separa la distanza
ma il filo unisce questa lontananza.
Se la mamma vola in Cina,
è al lavoro, o va in cucina,
il tamburo del cuore batte forte forte
un dolore che ci tocca in sorte.
Allora in una lingua misteriosa
mamma e bambino si parlano:
io ora non ti vedo, però una cosa c’è
che tu sei sempre dentro di me."

Nel testo, le metafore si riferiscono agli assunti psicologici riguardanti la permanenza dell’ oggetto e l’attivazione emotiva/arousal. Il primo è rappresentato dai nastrini/fili colorati che uniscono i cuori delle mamme a quelli dei loro bambini, da riferire alla conservazione del legame anche in assenza della figura di attaccamento. Il bambino ha l’età per comprendere lo svolgersi degli eventi e quindi di prevedere il ritorno della madre dopo la separazione. L’attivazione emotiva del bambino e della mamma al momento di lasciarsi è resa invece con la metafora del tamburo del cuore che batte.

Quando è utile una metafora sul legame?
Nelle situazioni in cui accedere a un pensiero di separazione può essere inizialmente difficile da affrontare non solo per il bambino piccolo ma anche per la madre: il rientro al lavoro dopo il parto e lo svezzamento, l’ingresso alla scuola dell’infanzia, oppure in concomitanza di eventi particolari come il cambiamento di abitazione o di scuola, la nascita di un fratellino, gravi malattie, lutti, conflitti tra genitori, ovvero quando l’ansia di separazione e le fantasie di abbandono si accentuano.

Gloria Invernizzi

Riferimenti bibliografici:
Bruno Bettelheim, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, 1997, Milano, Feltrinelli editore
Margot Sunderland, Raccontare storie aiuta i bambini, 2009, Erickson
Emanuela Nava, Mamma Nastrino, papà Luna, Il battello a vapore

martedì 20 agosto 2013

DEPRESSIONE E RAPPORTO DI COPPIA

L’argomento si riferisce all’esplorazione dei sintomi depressivi della persona entro l’interazione di coppia.

Stabilito l’assunto secondo il quale l’individuo è parte di una varietà di contesti, anche i sintomi depressivi vengono posti in relazione a tali contesti, vale a dire le relazioni familiari, compresa la famiglia di origine, il contesto di lavoro, sociale e culturale.
Le relazioni intime sono viste sia come in grado di influenzare sia come influenzate a loro volta dal paziente e dai sintomi stessi. Le risposte che gli altri membri della famiglia forniscono all’individuo, possono contribuire al mantenimento di tali sintomi. Avviene così che il partner reagisca ai sintomi depressivi inducendo nella persona risposte in grado di generare un meccanismo di retroazione con ricadute sia sui sintomi sia sui comportamenti dei conviventi.
Altri fattori intervenienti sono le caratteristiche individuali, psicologiche e fisiche, e le esperienze personali, presenti e del passato. Si assume però che il mantenimento del disturbo dipenda in larga misura dai contesti in cui il paziente è inserito. Pertanto, lavorare su questi ambiti, può significare migliorare la sintomatologia depressiva.

Da un punto di vista relazionale, la depressione prende origine dalle esperienze che vedono l’avvicendarsi di eventi normativi, quali matrimonio e nascite, e di eventi paranormativi, per esempio, malattie gravi e lutti, che richiedono all’individuo di adattarsi alle situazioni nuove che si trova a vivere.
Fattori intrapsichici e interpersonali determinano la capacità di adattarsi più o meno bene alle circostanze. Coloro che non riescono in tale compito sono maggiormente esposti al rischio di sviluppare sintomi depressivi.
In generale, si può parlare di significati relazionali dei fenomeni depressivi, dentro la coppia, a vari livelli: di comunicazione, quando il messaggio veicolato funge da regolatore della relazione, da qui la possibile richiesta di un maggior coinvolgimento, protezione o controllo sul partner; di metafore di eventi famigliari, quali il tener in vita la memoria di un membro che è deceduto; di mantenimento del sistema allo scopo di impedire al partner di allontanarsi o ai figli di svincolarsi, di conservazione di una posizione all’interno del sistema grazie al mantenimento di pattern relazionali esistenti.
Inoltre, fattori sociali e culturali che contribuiscono alla depressione nel senso di mantenerla o di aggravarne la sintomatologia possono essere ascrivibili a problemi finanziari o legati alla casa, alla disoccupazione, all’isolamento sociale, alla discriminazione.

Le risposte dei partner al verificarsi della depressione nel coniuge possono essere di diverso tipo: ci sono famiglie dove i sintomi depressivi sono tollerati e altre che diventano molto critiche nei confronti dei comportamenti esibiti dalla persona.
Tentativi di distogliere il coniuge dai sintomi invitandolo a vedere principalmente gli aspetti positivi delle situazioni, può avere come risultato quello di far sentire più solo e non compreso il paziente che inasprirà le reazioni sintomatiche dando origine a vissuti di colui che ricerca in continuazione l’attenzione dell’altro. In questo caso, la tentata soluzione ha, come conseguenza, quella di esasperare la malattia. D’altro canto, una cura eccessiva da parte del partner porta a consolidare i coniugi nei ruoli, rispettivamente, di malato e di chi si prende cura di lui, anche nel momento in cui i sintomi non sono chiaramente depressivi ma possono essere di altra natura.

In molti casi, la consultazione terapeutica può rappresentare un valido aiuto alla coppia in difficoltà.
L’obiettivo è quello di ricontestualizzare i sintomi depressivi nelle relazioni di oggi e con le figure significative del passato per dare alla coppia nuove prospettive, nuove definizioni del problema e sperimentare nuove relazioni tra loro. Nel momento in cui si chiede aiuto è perché la capacità di risoluzione del problema è venuta meno. Allora, il compito del terapeuta è quello di esplorare con la coppia lo stallo cui sono giunti e il suo esprimersi nel sintomo depressivo, esplicitando altre possibili strade per la risoluzione, che tengano conto del sistema di credenze e di valori di cui la coppia è portatrice. L’identificazione di competenze, individuali e di coppia, e di comportamenti che hanno un effetto positivo sulla relazione, consente ai coniugi di ritrovare le forze per arrivare a interazioni più adattive.

Bibliografia:
Elsa Jones, Eia Asen (2000), Systemic couple therapy and depression, London, Karnac Books

Summary
Depressive symptoms can be seen in interactional terms and can be connected with different contexts such as family, world of work, of society and of culture.
Close relationships are regarded both as influencing and being influenced by the person and by his/her symptoms.
The responses of family members to the person may be seen as helping to maintain or contributing to the person’s distress and symptoms.
Within a family therapy, a couple can elicit what resources they have for achieving new and different interaction patterns that will not include the depressive symptoms.

Gloria Invernizzi

mercoledì 7 agosto 2013

... l' ETA' di MEZZO ...







Stiamo parlando dei PRE ADOLESCENTI: i ragazzi e le ragazze nella fascia d'età che va dai 9 ai 12 anni circa. Quelli che non sai se chiamare bambini o ragazzi.
I PRE ADOLESCENTI rifiutano l'essere bambini e iniziano a comportarsi come adolescenti ma non lo sono ancora.
 
Chi sono allora e che caratteristiche presentano:
I pre-adolescenti sono troppo grandi per fare i giochi da bambini ma anche troppo piccoli per divertirsi come gli adolescenti; gironzolano un po’ dappertutto, comprano tutto quello che possono o spingono i genitori a farlo.
I preadolescenti sono in contina lotta con il loro desiderio di indipendenza, che si scontra però con il loro bisogno di avere ancora dei limiti imposti dai genitori.
I pre-adolescenti svolgono attività come l’andare al cinema, passare del tempo con gli amici e la famiglia, fare sport, giocare ai video giochi e guardare la tv.
I pre- adolescenti hanno diversi livelli di espressione del bisogno: alcuni bisogni sono chiaramenti verbalizzati, altri taciuti, altri ancora espressi ma in modo mascherato affidati alla capacità dei genitori di interpretarli.

Come ogni età dello sviluppo anche la PRE ADOLESCENZA ha degli specifici "compiti" da superare che riguardano lo sviluppo fisico-corporeo, cognitivo ed emotivo-affettivo.
Il cambiamento fisico è il più evidente segno del passaggio dal bambino all' adolescente che porta in tutti la paura dell'essere INADEGUATI, SBAGLIATI rispetto agli altri del gruppo dei pari. Importante è aiutare ad accettarsi e imparare a convivere con questo nuovo corpo che diventa sempre più, anche se in tempi diversi, parte del sé.
Alla maturazione corporea segue il consolidarsi delle condotte del genere di appartenenza. Il gruppo dei maschi e il gruppo delle femmine: quante volte si vedono gruppi che si siedono nettamente separati?
L'apertura del pre-ado verso nuove forme di socializzazione e l'autonomizzazione dalla propria famiglia porta ad un orientamento da " verso i genitori" a "verso i pari". Nonostante la situazione di dipendenza, idealizzazione e bisogno del genitore sia ancora forte il pre-ado esplora nuove forme di indipendenza ed autonomia esterne.
Il gruppo dei pari, un' amicizia elettiva: tutte occasioni per confrontarsi, sentirsi accettato, sviluppare la propria identità. E' nell'età di mezzo che si passa da un'identità fondata sui modelli di riferimento nel quali ci si è identificati per arrivare, non senza sforzi, ad una definizione originale di sé nella quale il pre-ado assomiglia sempre più a sé stesso.
Le capacità riflessive e di critica si sviluppano ma con tempi lunghi, per questo la figura di un genitore è ancora il riferimento necessario, anche se non sempre accettato, per le scelte del pre-ado in un gioco di vicinanza e distanza che varia con il tempo e lo sviluppo delle competenze.

Il pre-adolescente per la sua caratteristica intrinseca di essere nell'età di mezzo ha bisogno di autocomprendersi, questo sarà sicuramente più facile con l'aiuto di un genitore: l'adulto di riferimento aiuterà il pre-ado a trovare la propria identità, ad esprimerla, ad selezionare quei valori che saranno punti fermi nella sua vita.
Nonostante la sempre maggiore difficoltà nel comunicare, i preadolescenti non rifiutano l'incontro con i grandi. Soltanto lo cercano attraverso modalità diverse, rispettose della loro soggettività, dei loro silenzi e delle loro difficoltà in un momento di confusione, di crescita, dove già capire sé stessi non è semplice...figuriamoci farsi capire.


Dott.ssa Laura Tresoldi