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giovedì 1 marzo 2012

COME FACCIO A PARLARE DELLA MORTE A MIO FIGLIO...CHE E' COSI' PICCOLO?


Come faccio a parlare della morte a mio figlio…che è così piccolo?
I bambini ci appaiono così spensierati, ma anche così fragili che non vorremmo mai rovinare la loro serenità parlando della morte.
Eppure, se ci pensiamo, è un evento naturale. Ogni essere vivente, per quanto semplice sia, ha un ciclo di vita: nasce, cresce, si riproduce, invecchia e muore. Inevitabilmente anche i bambini si scontrano con questo evento.
Bowlby aveva definito la morte come una perdita irreversibile, un’ inaccessibilità permanente e, in quanto tale, l’aveva considerata come un’estensione, un caso particolare ed estremo,  della Teoria della Separazione. L’evento della morte, infatti, provoca reazioni simili a quelle che emergono durante la separazione tra il bambino e la mamma: protesta, distacco e disperazione.
Come si può aiutare il bambino ad affrontare questo evento doloroso, ma naturale?
La prima cosa da fare è sicuramente lasciare al bambino la possibilità di accedere a questo evento e quindi non ingannarlo mai rispetto a quanto è accaduto. È importante fornire informazioni chiare, precise e concrete e rispondere ad ogni piccola domanda che il piccolo ci pone. È bene aiutarlo a capire che è lecito addolorarsi e che in questi momenti si può piangere ed essere tristi. Un altro elemento fondamentale da tenere sempre presente è che, come per noi adulti, anche per i bambini può essere d’aiuto dire addio alla persona che ci ha lasciato. Partecipare alla cerimonia funebre, ad esempio, permette al bambino di partecipare al dolore collettivo per la perdita e lo aiuta a dare un senso a quanto è accaduto.
A seconda dell’età, la morte è percepita dai bambini in modo diverso. Vediamone  brevemente le caratteristiche:
  • BAMBINI CON MENO DI 5 ANNI: a questa età la morte viene percepita come qualcosa di reversibile, per loro la persona morta è solo andata via, ma in futuro tornerà. A questa età c’è ancora la speranza del ritorno che è vissuta come rassicurante. Può essere che il bambino non manifesti  il suo dolore e ciò può sconvolgere i familiari che percepiscono questo come mancanza di sofferenza. In realtà dipende da una concezione della realtà ancora primitiva.
  • BAMBINI CON PIU’ DI 5 ANNI: dopo i 5 anni la morte viene percepita come irreversibile. I bambini quindi manifestano il loro dolore, ma non hanno la capacità di trovare da soli le risorse per affrontarlo e quindi hanno assolutamente bisogno di aiuto. Il loro pensiero operatorio concreto li porta a fare domande concrete appunto come “Chi dà da mangiare sottoterra?” oppure “Dove dorme?”. È importante mantenere sempre risposte che, nel rispetto delle credenze religiose, definiscano la differenza tra corpo e spirito. Può aiutare puntare l’attenzione sul ricordo della persona mancata
  • BAMBINI DOPO I 8-9 ANNI: a questa età i bambini hanno pensieri simili a quelli dell’adulto e quindi devono confrontarsi con due compiti. Il primo è quello di accettare la realtà della perdita e il secondo è quello di affrontare il dolore. In questi casi si parla di dolore depressivo in quanto il soggetto è consapevole della perdita di uno stato precedente che, soggettivamente, era ritenuto buono.
Un processo importate e protettivo verso una perdita è quello della elaborazione del lutto. E’ un processo mentale lungo e articolato che può avere molte oscillazioni. Elaborare vuol dire arrivare ad una consapevolezza cognitiva ed emotiva circa la perdita subita.  Perché questo accada è importante lasciar spazio alle domande del bambino e rispondere ad esse realisticamente.
Spesso è più una difficoltà dell’adulto affrontare questo tema, ma come adulti abbiamo la responsabilità dei più piccoli e non possiamo sottrarci a questo faticoso e doloroso compito.
Dott.ssa Laura Prada

2 commenti:

  1. Ho perso la mia tata all'età di 6 anni, ero legato a lei molto più che a mia madre. Prima di entrare in ospedale aveva promesso di accompagnarmi a scuola il primo giorno. Ricordi vividi. L'ospedale e la notizia, il pupazzo dell'inter che le avevamo portato..e mia madre che mi ha detto " Mirella se n'è andata Filippo, il pupazzo lo tieni tu...." ricordo esattamente la fila della chiesa dove ci siamo seduti al funerale e da dove guardavo la bara e sentivo pronunciare il suo nome dal prete. Ricordo il carrello elevatore che portava su la bara . Chiedevo " ma dov'è andata??" Mia madre mi guardava e mi diceva " in cielo"...il primo giorno di scuola ci sono voluti il bidello , mia zia, mia madre per tirarmi dentro... alla fine mi hanno preso di peso e per un paio di settimane continuavo a cercare di fuggire dall'aula. Inutile dire perchè tifo inter.. :-D

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  2. Caro Filippo...le immagini che hai descritto e le emozioni che emergono dalle tue parole rappresentano come anche per un bambino la morte di una persona cara rappresenti un segno indelebile sul foglio della propria vita.
    Per un bambino una promessa non mantenuta è come un macigno difficile da spostare...e per questo motivo hai dimostrato la tua sofferenza faticando ad entrare a scuola e abituandoti alla vita scolastica.
    Da ciò che scrivi hai avuto accanto una mamma che ha cercato di darti delle risposte...anche solo le parole "è andata in cielo" bastano ad un bambino di sei anni perchè permettono di pensare alla persona in luogo preciso, come se sI fosse trasferita altrove. E' un primo passo per affrontare la difficoltà di non vedere più quella persona accanto a Sè. E che dire...forse quel pupazzetto dell'Inter di cui parli ti ha aiutato a sopportare quella mancanza improvvisa e a interiorizzarla in altro modo. Ti ringraziamo davvero molto per la tua intima condivisione...

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