Negli ultimi anni sta diventando sempre più corposa l’idea che aiutare bambini o adulti a raccontare eventi traumatici del passato, quelli più recenti e vividi ma anche condizioni di vita più o meno stressanti, rappresenti un momento molto efficace nel processo di cura e nel sostegno psicologico. Alla narrazione viene attribuito un significato di strumento di conoscenza e di costruzione del Sé, mezzo grazie al quale riflettere e riorganizzare gli eventi della propria esistenza. Raccontando le nostre esperienze, noi ne comprendiamo il significato in relazione ad altri eventi della nostra vita e iniziamo a costruire una storia di vita organizzata sotto una forma narrativa. Questa storia di vita, a sua volta, contribuisce alla formazione di un senso del Sé nel corso del tempo.
La narrazione può essere vista come il compimento di un percorso. Raccontare in maniera integrata (emotiva e cognitiva) vuol dire anche completare l’elaborazione di un evento, di una crisi, di vicende personali difficili. Il raccontare a qualcuno di cui ci si fida permette di collegare insieme emozioni, pensieri e fatti accaduti agevolando la correzione di attribuzioni improprie e la possibilità di darsi una spiegazione. E’ un accettare la realtà e le emozioni ad essa associate, che diventano consce.
Quando un adulto riesce a realizzarsi, nonostante le ferite, allora potrà capire che, moltissimi anni prima, era un bambino resiliente. Per dare un senso ai fatti avvenuti, il passato deve essere interpretato alla luce del presente. E’ attraverso la consapevolezza di questi aspetti che il concetto di vulnerabilità, spesso allontanato e negato dalla società occidentale e dal momento storico in cui viviamo, non fa più così paura.
Dott.ssa Marta Villa
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