Connettere la propria
esistenza ai vari social network:
facebook, youTube, Twitter – solo per citarne qualcuno – è diventata una
routine per la maggior parte delle persone, se poi si possiede anche uno smartphone, il rischio che questa smania
di apparire esistenti porti alla
tecno-dipendenza è altissimo. Questo nuovo modo di relazionarsi on line agli altri, di comunicare una potenziale
e spesso illimitata disponibilità ad esserci ovunque se da un lato consente di ridurre la distanza con le persone a noi
care e sedare il senso di solitudine, forse alla base di questa insaziabile sete
di interazione e di tenersi informati, dall’altro
comporta un pericoloso, quanto paradossale, risvolto della medaglia: relegare
sullo sfondo, quasi fossero “di serie B”, le relazioni face to face. Lo sa bene Alex Haigh, un
ragazzo di Melbourne che, infastidito dallo smodato uso del cellulare
da parte dei suoi coetanei ha deciso di prendere posizione lanciando nel 2012,
sul suo sito web, una campagna anti Phubbing.
Questo termine, formato dalla contrazione tra phone
(telefono) + snubbing (snobbare) descrive l’atteggiamento di chi, pur in
compagnia di qualcuno, lo ignora a favore del proprio dispositivo mobile (smartphone,
tablet). Un fenomeno quello dello stare
“da soli insieme” sempre più presente
anche in famiglia, come osserva, la ricercatrice di scienze sociali, Sherry
Turkle nel suo libro “Alone together” in cui scrive: “…oggi
possiamo chiamare ‘famiglie post-familiari’ quelle
i cui membri stanno ‘da soli insieme’, ognuno nella sua stanza, con il proprio
computer o dispositivo mobile collegato in rete…”.
Quanto tempo ci assorbe questa
attività di controllo dei social network? quanto ne veniamo fagocitati ma
soprattutto quanto ne abbiamo consapevolezza? Ogni evento, pensiero, stato
emotivo, esperienza, luogo visitato viene postato, condiviso, commentato,
apprezzato o ignorato, whatsappato, twittato e l’istantaneità degli scambi
comunicativi, unitamente al desiderio di onniscienza, inducono ad una iper
connessione alla rete con un conseguente incremento di isolamento dal reale intorno
sociale. Impossibile pensarsi senza
il proprio dispositivo mobile, ci si sentirebbe fortemente a disagio, un “pesce
fuor d’acqua” – specie se in compagnia di chi lo possiede – se non addirittura
intimorito. E’ stato di recente coniato il termine “nomofobia” – formato col suffisso –fobia e il prefisso inglese, abbreviato, di no-mobile – proprio per nominare la paura che invade chi, per assenza di segnale o per altre cause, teme di rimanere sconnesso dal contatto con la rete di telefonia mobile. Una condizione
di isolamento e alienazione, benché non di paura, è chiaramente identificabile nel
volto della protagonista di un filmato, dal titolo “I forgot my phone” [trad. ho
dimenticato il cellulare] (di cui sotto), pubblicato il 22 agosto su You Tube. Per inciso, anche la regista del video sembra non contemplare l’eventualità
che si possa non avere uno smartphone! Chissà quante volte sarà capitato, anche
a chi legge, di subire questa spiacevole, quanto imbarazzante, sensazione di
estraneità in compagnia di persone che paiono in “temporaneo stato di off”
rispetto alla conversazione faccia a faccia,
in quanto impegnate, ognuna col
proprio cellulare, a chattare con altri virtuali. Difficile pensare di separarsene anche mentre si
cammina o si attraversa la strada tanto che a New York si è pensato di segnalare ai pedoni la pericolosità di
questa pratica con cartelli stradali
appositi in cui vi è scritto: “Pay attention while walking. Your facebook status update can wait” [trad., Fate attenzione mentre camminate. Il vostro aggiornamento di stato su facebook può attendere]. Lo smartphone è ormai diventato “l’amico
tascabile”onnipresente sia quando ci troviamo soli che quando siamo in
compagnia; ci consente di mediare l’interazione con gli altri reali e funge da possibile “via di
fuga” quando si desidera evitare l’imbarazzo di una pausa, di un silenzio
durante una conversazione o quando si è
poco interessati al proprio interlocutore e ci si annoia, pur rischiando di apparire
scortesi nei riguardi di chi ci siede accanto. Ma al di là dell’uso fuor di galateo che se ne può fare è il
tempo eccessivo che si “investe” in tale attività a dare conto del livello
della sua tossicità: tanto più si è persuasi di non potersene staccare,
tanto meno si perverrà ad una sua gestione consapevole. La capacità di autoregolarsi negli eccessi implica uno
sforzo di volontà, delle azioni tese verso ciò che merita valore come la cura di sé che non può prescindere
dalla cura della qualità delle proprie relazioni significative: la nostra più
grande risorsa! Prendiamone atto pur continuando a servirci dei vantaggi che la
tecnologia ci offre.
Auguro a tutti una equilibrata
e consapevole navigazione!
Dott.ssa Moira Melis
Di pochi giorni la notizia di una famiglia canadese che per 365 ha deciso di non utilizzare nessun oggetto realizzato negli ultimi 26 anni, quindi anche tutto ciò che ci collega al mondo tramite la rete!
RispondiEliminahttp://www.corriere.it/esteri/13_settembre_09/canada-famiglia-vive-come-1986_b16c9628-193e-11e3-965e-2853ac612ccd.shtml
Chissà se "esisteranno ancora", per citare il nostro articolo, dopo questo anno lontani dai social network!
Esperimento fattibile o pazzia?
http://www.vanityfair.it/news/italia/13/10/31/fomo
RispondiEliminaF.o.m.o., quella paura di esserci persi qualcosa Ce l'abbiamo quasi tutti. Ed è amplificata da quelle foto delle feste che ci inseguono su Twitter e Facebook...